29/01/2015
Il datore di lavoro contesta, tra l'altro, ad un dipendente che ha licenziato per motivi disciplinare di aver tentato una registrazione non autorizzata, , della conversazione avuta con i superiori.
La Corte di Cassazione, in modo chiaro e limpido ha affermato che " la registrazione fonografica di un colloquio tra persone presenti rientra nel genus delle riproduzioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. (cfr. Cass. n. 9526/10; Cass. n. 27157/08), quindi di prove ammissibili nel processo civile, così come lo sono in quello penale, atteso che - alla luce della giurisprudenza delle Sezioni penali di questa S.C. - la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, è prova documentale utilizzabile quantunque effettuata dietro suggerimento o su incarico della polizia giudiziaria, trattandosi, in ogni caso, di registrazione operata da persona protagonista della conversazione, estranea agli apparati investigativi e legittimata a rendere testimonianza nel processo (espressamente in tal senso v. Cass. pen. n. 31342/11; Cass. pen.n. 16986/09; Cass. pen. n. 14829/09; Cass. pen. n. 12189/05; Cass. pen. S.U. n. 36747/03).
Nel caso di cui parla l'impugnata sentenza si trattava - da quel che si legge nell'impugnata sentenza – di registrazione d'un colloquio ad opera del controricorrente, vale a dire di una delle persone presenti e partecipi ad esso. Dunque, se la registrazione della conversazione de qua costituiva potenziale prova spendibile nel corso d'un processo civile, in nessun caso la sua effettuazione poteva integrare condotta illecita, neppure da un punto di vista disciplinare. Nè poteva in alcun modo ledere il vincolo fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro: il rapporto fiduciario in questione concerne l'affidamento del datore di lavoro sulle capacità del dipendente di adempiere l'obbligazione lavorativa e non già sulla sua capacità di condividere segreti non funzionali alle esigenze produttive e/o commerciali dell'impresa (nel caso in esame la società ricorrente non allega neppure che il colloquio registrato avesse ad oggetto segreti industriali); ad ogni modo, essendo finalizzata all'acquisizione di una prova a discolpa (la registrazione era avvenuta mentre i superiori dell'ing. G. gli contestavano verbalmente presunte infrazioni disciplinari, come risulta dal testo della successiva lettera di contestazione riportato in sentenza) tale condotta sarebbe scriminata ex art. 51 c.p. in quanto esercizio del diritto di difesa. A riguardo si tenga presente che il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso.
Non a caso nel codice di procedura penale il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall'art. 24 Cost. sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento: basti pensare al diritto alle investigazioni difensive ex art. 391 bis c.p.p. e ss., alcune delle quali possono esercitarsi addirittura prima dell'eventuale instaurazione d'un procedimento penale (cfr. art. 391 nonies c.p.p.), oppure ai poteri processuali della persona offesa, che - ancor prima di costituirsi, se del caso, parte civile - ha il diritto, nei termini di cui all'art. 408 c.p.p. e ss. - di essere informata dell'eventuale richiesta di archiviazione, di proporvi opposizione e, in tal caso, di ricorrere per cassazione contro il provvedimento di archiviazione che sia stato emesso de plano, senza previa fissazione dell'udienza camerale. Dunque, neppure tale addebito può integrare illecito disciplinare, rispondendo la condotta in discorso alle necessità conseguenti al legittimo esercizio d'un diritto e, quindi, essendo coperta dall'efficacia scriminante dell'art. 51 c.p., di portata generale nell'ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico (e su ciò dottrina e giurisprudenza sono, com'è noto, da sempre concordi).
Altro sarebbe - sia ben chiaro - la registrazione d'una conversazione tra presenti effettuata a fini illeciti (ad esempio estorsivi o di violenza privata): ma non è questo il senso della contestazione disciplinare per cui è causa. " Corte di cassazione, sentenza 29 dicembre 2014 n. 27424.
La Corte di Cassazione, poggiando su questi principi, ha ritenuto pienamente legittimo il comportamento del lavoratore che, per precostituirsi una prova per far valere un diritto avanti l'autorità giudiziaria, registra in modo occulto all'interno dell'azienda una conversazione alla quale ha partecipato direttamente. Considerati i nuovi strumenti informatici, che sono di uso quotidiano, vi è da supporre che queste modalità di certificazione dei fatti assumeranno sempre più rilevanza. La legittimità di questi comportamenti è capace di scardinare i rapporti all'interno dell'azienda frantumando vecchie logiche e rapporti di sudditanza.
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