17/01/2014
Nel caso in cui il rapporto di lavoro si risolva in modo diverso dal licenziamento intimato dal datore di lavoro, la pretesa del risarcimento del danno avanzata dal lavoratore per la Corte di Cassazione " deve essere valutata in base alle regole generali sull'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, non risultando applicabile la normativa di carattere generale in materia di licenziamenti di cui alla legge n. 604 del 1966 ed all'art. 18 della legge n. 300 del 1970."
Per la Corte di Cassazione così " rimane a carico del lavoratore, in qualità di attore, l'onere di allegare e di provare il danno conseguito all'interruzione del rapporto e che tale danno può equivalere alle retribuzioni perdute a causa della mancata esecuzione delle prestazioni lavorative, ma presuppone che queste siano state offerte dal lavoratore e che il datore le abbia illegittimamente rifiutate, configurandosi la costituzione in mora del datore di lavoro come elemento costitutivo della domanda (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 22342/2006; 13292/2007)."
La richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro, svolta con il ricorso giudiziario avanti al tribunale, configura effettivamente offerta della prestazione lavorativa e, come tale, è astrattamente idonea a costituire in mora la parte datoriale, ma operando soltanto a far tempo dal momento in cui sia stata portata a conoscenza di quest'ultima, può esplicare i propri effetti ai fini risarcitori.
Questi principi sono stati ribaditi dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2900/12008.
Milano 03/01/2009