17/01/2014
Da anni il nostro legislatore ha imposto un onere insopportabile a tutti coloro ( lavoratori e datori di lavoro) che devono proporre un ricorso di lavoro in tribunale: l'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione avanti la direzione provinciale del lavoro. Attualmente, per legge, la parte che vuole agire davanti ad un giudice deve previamente depositare un’istanza alla direzione provinciale del lavoro chiedendo la convocazione delle parti per verificare la possibilità di conciliare la controversia. Se le parti non si conciliano o se sono decorsi inutilmente sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza senza che la direzione provinciale del lavoro abbia provveduto a convocare gli interessati, si può liberamente depositare il ricorso avanti il tribunale. Le direzioni provinciali del lavoro di tutta Italia sono sommerse da ricorsi che per la loro mole a volte non sono nemmeno protocollati. Si ammassano semplicemente.
Se una causa avanti il tribunale è promossa prima dell'espletamento di questa procedura, il giudizio è “appestato” e deve essere immediatamente sospeso per consentirne l'espletamento. Questo meccanismo è implacabile perché si applica anche quando le parti davanti al giudice hanno dichiarato e manifestato apertamente la loro volontà di non voler in alcun modo conciliare la controversia. Pur essendovi l' assoluta certezza dell'impossibilità che la causa possa essere conciliata, per manifesta volontà delle parti che si odiano a morte, il giudice deve ugualmente e necessariamente sospendere il giudizio già promosso davanti a lui e rimettere le parti avanti alla direzione provinciale del lavoro per esperire questo taumaturgico tentativo obbligatorio di conciliazione che, a questo punto, diventa veramente una beffa per tutti, un’attività semplicemente del tutto inutile e superflua, con grave perdita di tempo, di energia per tutti i soggetti coinvolti. La parte interessata per proseguire nel giudizio deve così predisporre la sua istanza alla direzione provinciale del lavoro, depositarla presso quest'ufficio, attendere la convocazione, che certamente non arriverà mai, perché l'ufficio provinciale del lavoro è intasato, e una volta decorsi i sessanta giorni ridepositare nuovamente la sua istanza in Tribunale per la prosecuzione del giudizio, precedentemente sospeso. Il giudice, a questo punto, dovrà rifissare una nuova udienza con l'obbligo della parte interessata di chiedere le copie autentiche degli atti in cancelleria e procedere alla loro notificazione nei confronti della controparte. In questo modo il processo, precedentemente interrotto, può riprendere il suo cammino. Quante attività inutili! Quante energie spese, con coinvolgimento di giudici, direzione provinciale del lavoro, impiegati, cancellieri, ufficiali giudiziari, avvocati e uffici postali!
È un meccanismo sadico, da girone infernale, che appare costruito da chi e per chi non possiede il ben dell'intelletto, per buontemponi, per perditempo, un largo e complicato giro di attività per giungere sempre al medesimo punto di partenza: la causa non si concilia e si va avanti a litigare ma con gli uffici che nel frattempo si sono ulteriormente intasati di attività inutile. L'incongruenza del sistema processuale attuale sembra non essere sfuggita al parlamento che attualmente, su iniziativa del governo, in Commissione, sta esaminando un disegno di legge che modifica la norma prevedendo non più l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione ma solo la sua facoltatività: La parte che lo desidera può agire immediatamente in tribunale radicando la sua azione giudiziaria oppure presentare la sua istanza alla direzione provinciale del lavoro perché si esperisca il tentativo di conciliazione. Se queste istanza è presentata, alla parte è inibito di rivolgersi al giudice se prima non si esaurisce infruttuosamente la procedura.
Il sistema che si profila appare logico e in grado di sopprimere un sistema che tante critiche e insofferenze ha sollevato da parte di tutti gli operatori processuali.
L'augurio è che l'iter parlamentare, per qualche arcano mistero, non si blocchi mantenendo in vita una norma veramente demenziale, assurda, inutile, dannosa e incomprensibile per tutti. Quei parlamentarti che all’epoca l’hanno approvata meriterebbero l’ostracismo perenne dalla partecipazione alla vita politica del Paese.
Milano 28 ottobre 2008