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Per la Corte Europea è corretto il diverso trattamento contro il licenziamento collettivo illegittimo

per gli assunti prima del 7 marzo 2015 tutela forte con la reintegrazione nel posto di lavoro per quelli dopo una tutela flebile con la sola indennità risarcitoria

La lavoratrice è stata assunta il 14 gennaio 2013, con un contratto di lavoro a tempo determinato.
Il 31 marzo 2015 il contratto a tempo determinato è stato trasformato in contratto a tempo indeterminato.
Il 19 gennaio 2017 la datrice di lavoro ha avviato una procedura di licenziamento collettivo che ha interessato 350 lavoratori che, esperita la procedura di consultazione sindacale sono stati licenziati.
I lavoratori licenziati hanno presentato ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, in ragione del fatto che la datrice di lavoro aveva violato i criteri di scelta per aver omesso di comparare tra loro tutti i lavoratori che svolgevano le medesime mansioni.
Il giudice milanese ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento collettivo, ha ordinato il risarcimento dei danni e ha disposto la reintegrazione nel posto di lavoro di tutti i lavoratori interessati, ad eccezione della ricorrente che era stata assunta in origine con un contratto a tempo determinato poi trasformato a tempo indeterminato. Il Tribunale di Milano, ha infatti ritenuto che questa lavoratrice non potesse beneficiare dello stesso regime di tutela degli altri lavoratori licenziati per il motivo che la data di conversione del suo contratto di lavoro da tempo determinato in contratto a tempo indeterminato era successiva al 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23/2015 (Jobs Act) che non ha più previsto la reintegrazione nel posto di lavoro ma il solo risarcimento indennitario, modificando l’art. 18 dello Statuto già modificato dalla legge Fornero del 2012.
La lavoratrice si è difesa davanti al tribunale milanese sostenendo la non conformità della normativa nazionale al diritto dell’Unione e la violazione del principio della parità di trattamento.

Dalla pronuncia del tribunale di Milano emerge che, in caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore assunto nell’ambito di un contratto di lavoro a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015, il datore di lavoro deve, da un lato, reintegrare il lavoratore interessato nel suo posto di lavoro e, dall’altro, versargli un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto che copre il periodo compreso tra il giorno del licenziamento e quello dell’effettiva reintegrazione, oltre al versamento dei contributi previdenziali corrispondenti a questo stesso periodo, ma tale indennità non può essere superiore a dodici mensilità. I lavoratori assunti a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015 non potrebbero rivendicare una siffatta reintegrazione, ma solo un’indennità, che non dà luogo al versamento di contributi previdenziali. L’importo di tale indennità a partire dal 2018 sarebbe stato esteso, rispettivamente, a 6 ed a 36 mesi di retribuzione.
Nel caso di specie, anche se la lavoratrice è entrata in servizio prima del 7 marzo 2015, il suo contratto a tempo determinato è stato convertito in contratto a tempo indeterminato dopo tale data. Orbene, la conversione di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, ai fini della fissazione del regime di tutela in caso di licenziamento collettivo illegittimo, sarebbe assimilata a una nuova assunzione. In quest’ottica, la lavoratrice non può rivendicare, in forza della normativa nazionale, la reintegrazione nelle sue funzioni né il risarcimento dei danni da 6 a 36 mensilità, ma solo un’indennità risarcitoria non superiore a 12 mesi.

Il giudice milanese, che ha rimesso gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, si chiede se tale trattamento differenziato sia compatibile con la direttiva europea n. 98/59 e con la clausola n. 4 dell’accordo quadro, letti alla luce degli articoli 20 e 30 della Carta europea dei diritti fondamentali.

In primo luogo, secondo il giudice del tribunale di Milano, l’indennità che può rivendicare la ricorrente non costituisce una compensazione adeguata per un licenziamento collettivo illegittimo, ai sensi dell’articolo 30 della Carta. Dalle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali emergerebbe, infatti, che quest’ultima disposizione dovrebbe essere interpretata alla luce dell’articolo 24 della Carta sociale europea, firmata a Torino il 18 ottobre 1961, che a sua volta sarebbe stata interpretata dal Comitato europeo dei diritti sociali nel senso che una sanzione derivante da un licenziamento collettivo illegittimo è considerata adeguata quando prevede, primo, il rimborso delle perdite economiche subite dal lavoratore interessato tra il giorno del suo licenziamento e la decisione che condanna il datore di lavoro a detto rimborso, secondo, una possibilità di reintegrare tale lavoratore nell’impresa nonché, terzo, un’indennità di importo sufficientemente elevato da dissuadere il datore di lavoro e compensare il danno subito da detto lavoratore.
In secondo luogo, il giudice di Milano constata una differenza di trattamento tra, da un lato, una lavoratrice che è entrata in servizio prima del 7 marzo 2015 nell’ambito di un contratto di lavoro a tempo determinato, convertito in contratto a tempo indeterminato dopo tale data, e, dall’altro, tutti gli altri lavoratori licenziati, i quali erano stati assunti nell’ambito di contratti di lavoro a tempo indeterminato stipulati prima di tale data. Questa differenza di trattamento risulterebbe dall’assimilazione a una nuova assunzione della conversione di un contratto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato.
alla luce di tali circostanze, il Tribunale di Milano ha deciso di sospendere la causa e di sottoporre alla Corte Europea le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se i principi di parità di trattamento e di non discriminazione contenuti nella clausola 4 dell’[accordo quadro] sulle condizioni di impiego ostino alle previsioni normative dell’articolo 1, secondo comma e dell’articolo 10 del decreto legislativo n. 23/2015 che, con riferimento ai licenziamenti collettivi illegittimi per violazione dei criteri di scelta, contengono un duplice regime differenziato di tutela in forza del quale viene assicurata nella medesima procedura una tutela adeguata, effettiva e dissuasiva ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato costituiti in data antecedente al 7 marzo 2015, per i quali sono previsti i rimedi della reintegrazione ed il pagamento dei contributi a carico del datore di lavoro e introduce, viceversa, una tutela meramente indennitaria nell’ambito di un limite minimo ed un limite massimo di minore effettività ed inferiore capacità dissuasiva per i rapporti di lavoro a tempo determinato aventi una pari anzianità lavorativa, in quanto costituiti precedentemente a tale data, ma convertiti a tempo indeterminato successivamente al 7 marzo 2015.
2) Se le previsioni contenute negli articoli 20 e 30 della [Carta] e nella direttiva [98/59] ostino ad una disposizione normativa come quella di cui all’articolo 10 del decreto legislativo n. 23/15 che introduce per i soli lavoratori assunti (ovvero con rapporto a termine trasformato) a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015, una disposizione secondo cui, in caso di licenziamenti collettivi illegittimi per violazione dei criteri di scelta, diversamente dagli altri analoghi rapporti di lavoro costituiti in precedenza e coinvolti nella medesima procedura, non è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro e che introduce, viceversa, un concorrente sistema di tutela meramente indennitario, inadeguato a ristorare le conseguenze economiche derivanti dalla perdita del posto di lavoro e deteriore rispetto all’altro modello coesistente, applicato ad altri lavoratori i cui rapporti hanno le medesime caratteristiche con la sola eccezione della data di conversione o costituzione».

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha risposto in modo negativo ai due quesiti posti dal giudice milanese.

La Corte Europea, dopo aver ampiamente esaminato la disciplina del diritto italiano e le norme europee in materia ha ritenuto di dover respingere le argomentazioni proposte dal giudice milanese statuendo che: “Una normativa nazionale che prevede l’applicazione concorrente, nell’ambito di una stessa e unica procedura di licenziamento collettivo, di due diversi regimi di tutela dei lavoratori a tempo indeterminato in caso di licenziamento collettivo effettuato in violazione dei criteri destinati a determinare i lavoratori che saranno sottoposti a tale procedura non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, e non può, pertanto, essere esaminata alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, in particolare, dei suoi articoli 20 e 30.
2) La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che estende un nuovo regime di tutela dei lavoratori a tempo indeterminato in caso di licenziamento collettivo illegittimo ai lavoratori il cui contratto a tempo determinato, stipulato prima della data di entrata in vigore di tale normativa, è convertito in contratto a tempo indeterminato dopo tale data.” Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, sentenza del 17 marzo 2021, causa C-652/19.

La Corte Europea con la sua decisione ha riconosciuto la legittimità dell’attuale sistema dualistico in materia di licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta del personale licenziato. Gli assunti prima del 7 marzo a tempo indeterminato hanno diritto ha una tutela fortissima (reintegrazione nel posto di lavoro, diritto alla contribuzione previdenziale e al risarcimento del danno con la facoltà di sostituire alla reintegrazione nel posto di lavoro l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere ulteriori 15 mensilità. Tutti gli altri lavoratori, invece, hanno il solo diritto ad una indennità risarcitoria da 6 a 36 mensilità con l’eccezione dei contratti a termine trasformati successivamente in contratti a tempo indeterminato che hanno diritto a una indennità ancora più ridotta: fino a 12 mesi.

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