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Un dirigente licenziato per motivi ritorsivi

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29/06/2020

Disposta la sua reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento dei danni

La Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della stessa sede, pronunciando nel giudizio di opposizione, aveva dichiarato la nullità, in quanto ritorsivo, del licenziamento per giusta causa intimato da Napoli Servizi S.p.A.,  al proprio dirigente B.F., con conseguente ordine di reintegrazione in servizio dello stesso e condanna della società al risarcimento del danno.

La Corte di appello  ha, in primo luogo, ritenuto ingiustificato e pretestuoso il licenziamento, alla stregua delle risultanze delle prove, testimoniali e documentali, acquisite; lo ha inoltre ritenuto di natura ritorsiva, osservando come il non agevole assolvimento dell'onere della prova al riguardo, da parte del lavoratore, possa essere conseguito anche attraverso l'utilizzazione di presunzioni, tra le quali presenta un ruolo non secondario l'inesistenza del diverso motivo addotto a giustificazione del recesso o di alcun motivo ragionevole: e nella specie - ha osservato ancora la Corte di appello - la sentenza reclamata aveva tratto dai fatti noti (infondatezza e genericità degli addebiti; contenzioso in corso per una questione retributiva; progressiva emarginazione del dirigente e quasi totale sua esautorazione dalle funzioni ricoperte, realizzatasi nel periodo immediatamente precedente il licenziamento) la conseguenza, del tutto ragionevole, che il recesso avesse avuto natura effettivamente ritorsiva.

Contro la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per Cassazione la Napoli Servizi S.p.A.,  cui ha resistito il lavoratore con controricorso.

La Cassazione ha respinto il ricorso dell’azienda assumendo che “. La Corte di appello di Napoli ha invero fatto esatta applicazione del principio di diritto, secondo il quale "il licenziamento per ritorsione, diretta o indiretta - assimilabile a quello discriminatorio, vietato della L. n. 604 del 1966, art. 4,L. n. 300 del 1970, art. 15 e della L. n. 108 del 1990, art. 3 - costituisce l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento, quando il motivo ritorsivo sia stato l'unico determinante e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni" (Cass. n. 17087/2011).

… Ciò posto, va ribadita la regola che l'onere della prova della esistenza di un motivo di ritorsione del licenziamento e del suo carattere determinante la volontà negoziale grava sul lavoratore che deduce ciò in giudizio. Trattasi di prova non agevole, sostanzialmente fondata sulla utilizzazione di presunzioni, tra le quali presenta un ruolo non secondario anche la dimostrazione della inesistenza del diverso motivo addotto a giustificazione del licenziamento o di alcun motivo ragionevole".

Continua la Cassazione che “… è stato di recente ribadito che "l'onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento grava sul lavoratore, ben potendo, tuttavia, il giudice di merito valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso (Cass. n. 23583/2019).

La Cassazione ha così definitivamente confermata la natura ritorsiva del licenziamento esaminato, rigettando il ricorso dell’azienda.

Cassazione sez. lavoro Sentenza  16 gennaio 2020, depositata in Cancelleria il 17 giugno 2020.

 

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