04/03/2020
La società intima ad un suo dirigente il licenziamento per motivi oggettivi inviandogli la lettera che si riporta di seguito: "L’attuale quadro macro-economico mondiale e nazionale recessivo impone anche alla nostra società – a maggior ragione dopo la fusione che l’ha coinvolta la scorsa estate – la continua ricerca delle condizioni di massima efficienza e competitività … nel difficile scenario competitivo in cui la società si trova ad operare, i risultati economici registrati dall’area sales, in generale, e dall’area partner sales da lei diretta, in particolare, sono assolutamente non in linea con quelli attesi . Ciò impone l’adozione di rapide azioni di miglioramento, tra cui la revisione delle strutture organizzative esistenti in un’ottica di riduzione dei costi, semplificazione dei processi decisionali e recupero dell’efficienza, In questo quadro, la nostra società si è peraltro determinata a porre in essere un articolato processo di riorganizzazione, caratterizzato da una ridistribuzione di funzioni e responsabilità, nell’ambito del quale verrà soppressa la posizione di direttore partner sales da lei ricoperta, le cui mansioni verranno distribuite ad altre risorse già in forza presso la società. Non essendo purtroppo disponibili posizioni vacanti compatibili con la sua professionalità ed essendo quindi impossibile utilizzare la sua prestazione in altra posizione equivalente, le comunichiamo il recesso dal rapporto di lavoro con lei in essere, con effetto immediato dal ricevimento …”.
La Corte di Appello di Milano ha ritenuto legittimo questo licenziamento del dirigente perché ha ritenuto i motivi effettivi, e non arbitrari e pretestuosi; questi motivi non possono essere sindacati dal giudice nei profili della loro opportunità e congruità.
Per la Corte di Appello l'indennità supplementare può essere riconosciuta al dirigente solo in presenza della “mera ingiustificatezza” del licenziamento. Questo concetto per la Corte di Appello " non è sovrapponibile né a quello di giusta causa né a quella di giustificato motivo, nella sua declinazione sia soggettiva, sia oggettiva; la ricorrenza della giustificatezza dell’atto risolutivo è da correlare alla presenza di valide ragioni di cessazione del rapporto lavorativo, come tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede, sicché non giustificato è il licenziamento per ragioni meramente pretestuose, al limite della discriminazione, ovvero anche del tutto irrispettoso delle regole procedimentali che assicurano la correttezza del diritto." Questa sentenza della Corte di Appello di Milano amplia in modo considerevole il concetto di giustificatezza che sottostà al licenziamento del dirigente che così ha ben poche rivendicazioni da poter far valere per rivendicare una maggiore e significativa stabilità del suo posto di lavoro. Corte di Appello di Milano, Sentenza n. 1896/2019 pubblicata il 24/02/2020.
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