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Giornalisti e licenziamento collettivo

La corte di Cassazione, con indirizzo ormai consolidato, afferma che la disciplina del licenziamento collettivo di cui alla legge 223 del 23 luglio 1991, è una “disciplina a carattere generale di cui è prevista l'eccezionale non applicazione solo nei casi di scadenza dei rapporti di lavoro a termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e nei casi di attività stagionali o saltuarie.” In tutti gli altri casi la normativa sui licenziamenti collettivi si applica normalmente. Una diversa interpretazione della complessiva normativa, per la corte di cassazione, “confliggerebbe con il principio di eguaglianza.” 
La stessa Corte, con riferimento alla legge 223 del 23 luglio 1991, ha fatto rilevare che “l'art. 24 cit. non contiene alcuna deroga espressa per i dipendenti di imprese editrici né segnatamente per i giornalisti. Ed anzi il terzo comma dell'art. 16 della medesima legge n. 223 del 1991 pone a carico dell'INPGI l'indennità di mobilità in favore dei giornalisti disoccupati in conseguenza di licenziamento per riduzione di personale ai sensi dell'art. 24 cit.; sicché può inferirsi che al licenziamento collettivo dei giornalisti si applicano le ordinarie garanzie procedimentali ed i criteri legali di scelta previsti in generale senza che sia fatta alcuna riserva di salvezza di un ipotetico regime speciale di un licenziamento collettivo a garanzie ridotte.” La Corte di Cassazione ha, così, affermato che l’impresa editrice, al pari dei datori di lavoro in genere, deve rispettare la procedura di intimazione del licenziamento collettivo ed è tenuta, in aggiunta, al versamento in favore del giornalista licenziato dell’indennità aggiuntiva di quattro mensilità di retribuzione in esecuzione dell’articolo 36 della legge 416/81. Oltre naturalmente al preavviso e alle competenze di fine rapporto.
La sentenza della cassazione, più importante e significativa, è quella della sez. Lavoro, 27-10-2003, n. 16126.

Milano 8 gennaio 2007.

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