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a volte l' insubordinazione non giustifica il licenziamento

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 14391/18; depositata il 5 giugno

Un lavoratore è stato licenziato per essersi insubordinato avendo rifiutato di svolgere mansioni di magazziniere. I giudici di merito osservavano che effettivamente il lavoratore, nel corso del colloquio con il direttore del personale ed alla presenza di componenti della RSU, aveva affermato di non essere disponibile a svolgere mansioni diverse da quelle fino a quel momento svolte e da altre consistenti nell’inserimento di taluni dati nel sistema informativo.
Il tribunale la corte di appello hanno ritenuto che il comportamento del lavoratore, valutate le altre circostanze che hanno caratterizzato i fatti, non fosse tale da allegare il vincolo fiduciario.
Il contratto collettivo per quel tipo di inadempimento del lavoratore prevede nel caso più grave il licenziamento mentre in quello meno grave una sanzione conservativa del posto di lavoro. Nel caso si è in presenza di un inadempimento meno grave che giustificata solo l'eventuale adozione di una sanzione conservativa del posto di lavoro.
Poiché il licenziamento si pone in contrasto con le previsioni del contratto collettivo, il lavoratore è stato reintegrato nel posto di lavoro.
Il datore di lavoro, la FOSBER S.p.A. ha fatto ricorso in cassazione ma la cassazione ha confermato la sentenza dei giudici di merito.
Nella sentenza si legge che "Nel caso di specie, la Corte di Appello di Firenze ha escluso che integrasse giusta causa di licenziamento il rifiuto del lavoratore a svolgere mansioni diverse, opposto prima di conoscere gli esiti della visita medica di idoneità cui era stato sottoposto e relativamente ad un ordine di servizio generico che non individuava ancora esattamente i nuovi compiti da espletare.
Il giudizio reso in ordine al momento storico in cui la condotta è stata realizzata (prima della conoscenza del giudizio medico) così come quello relativo ai contenuti (generici) del provvedimento datoriale costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice di merito che, non censurati, non sono più in discussione in questa sede.
Osserva la Corte che, rispetto al fatto accertato, la decisione impugnata non si è discostata dagli insegnamenti della giurisprudenza che impongono di apprezzare in concreto la gravità dell’addebito, a tal fine considerando tutti i connotati oggetti e soggettivi del fatto, vale a dire il danno arrecato, l’intensità del dolo o il grado della colpa, i precedenti disciplinari nonché ogni altra circostanza tale da incidere in concreto sulla valutazione del livello di lesione del rapporto fiduciario tra le parti."
Il lavoratore rimasto definitivamente il reintegrato nel posto di lavoro.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 14391/18; depositata il 5 giugno

 

 

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