02/01/2020
Una multinazionale americana ha preteso che il lavoratore, oltre l'orario normale di lavoro, si rendesse reperibile, dalla sera al mattino, per tutti i giorni della settimana, ad ogni chiamata necessaria per l'espletamento dell'attività lavorativa.
Il lavoratore ha rifiutato questa imposizione sostenendone la illegittimità giuridica. L'azienda americana, incurante delle proteste del lavoratore, ha provveduto a contestargli l'insubordinazione e, successivamente, ricevute le giustificazioni che non ha ritenuto di accogliere, ha proceduto al licenziamento immediato per giusta causa.
Il lavoratore ha reagito immediatamente depositando un ricorso d'urgenza avanti il tribunale di Milano al quale ha chiesto la sua immediata reintegrazione nel posto di lavoro. A sostegno della sua domanda ha assunto che la reperibilità, per poter essere richiesta dal datore di lavoro, deve essere contrattualmente prevista, per pattuizione individuale o per esplicita previsione della contrattazione collettiva. Il datore di lavoro non può mutare in modo unilaterale gli elementi della originaria pattuizione e il contenuto prestazione . Il datore di lavoro non può considerarsi il padrone assoluto del tempo libero del lavoratore sul quale non ha alcun diritto di interferire. Attribuire all'azienda questo potere di interferenza significherebbe accogliere una concezione imperiale e autoritaria del rapporto di lavoro. Tutte le condizioni del contratto devono essere pattuite tra le parti perché esse devono oggetto di negoziazione.
All'udienza di prima comparizione avanti il tribunale, le parti hanno raggiunto un accordo conciliativo: il lavoratore ha rinunciato al posto di lavoro e l'azienda gli ha versato un cospicuo importo a titolo di integrazione del trattamento di fine rapporto.
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo