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Chi assiste un lavoratore disabile non può essere spostato da una sede a un'altra

anche se la nuova sede si trova nello stesso comune

Un lavoratore usufruisce delle tutele previste dalla legge 104/1992 perché presta assistenza a un parente disabile. L'azienda lo trasferisce da un ufficio a un altro, nell'ambito dello stesso comune di Pesaro. La Corte di Appello ha dichiarato legittimo lo spostamento di sede affermando che lo spostamento "pur comportando una maggiore distanza tra sede di lavoro e luogo di dimora della persona disabile assistita, non era tale da incidere in maniera negativa sul concreto esercizio del diritto all'assistenza; con riguardo poi alla violazione delle norme collettive in materia, ha rilevato come l'inciso "indipendentemente dalla distanza", nella disposizione che prevedeva il necessario consenso della persona interessata (art. 38, comma 5), doveva essere letto sempre in relazione al trasferimento come delineato al comma 1, con la conseguenza che, in difetto di un trasferimento vero e proprio, non era tutelato il diritto alla inamovibilità".

La Cassazione, però, non ha ritenuto di confermare questo principio affermato dalla Corte d'Appello e ha statuito che "il divieto di trasferimento del lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, di cui all'art. 33, comma 5, della L. n. 104 del 1992, nel testo modificato dall'art. 24, comma 1, lett. b), della L. n. 183 del 2010, opera ogni volta muti definitivamente il luogo geografico di esecuzione della prestazione, anche nell'ambito della medesima unità produttiva che comprenda uffici dislocati in luoghi diversi, in quanto il dato testuale contenuto nella norma, che fa riferimento alla sede di lavoro, non consente di ritenere tale nozione corrispondente all'unità produttiva di cui all'art. 2103 cod. civ." Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 19 marzo – 23 agosto 2019, n. 21670

Il trasferimento

Il datore di lavoro può trasferire il lavoratore dal luogo di lavoro presso il quale ha prestato normalmente la sua attività lavorativa. Il trasferimento da un'unità produttiva all'altra, però, può essere adottato solo in presenza di "comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive".  Senza queste esigenze oggettive il trasferimento è illegittimo. Il lavoratore, avuta comunicazione del trasferimento, può chiedere che il datore di lavoro gli fornisca la motivazione del provvedimento. Il provvedimento di trasferimento, se contestato dal lavoratore, deve essere impugnato con immediatezza, entro 60 giorni dalla sua comunicazione. Nei successivi 180 giorni, poi, occorre depositare il ricorso avanti il giudice del lavoro. L'inosservanza di questi termini comporta la definitività del provvedimento. È opportuno che il lavoratore esegua momentaneamente l'ordine di trasferimento anche se lo dovesse ritenere illegittimo, al fine di impedire insubordinazioni o assenze ingiustificate dal lavoro.