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Nel distacco occorre preservare la professionalità del distaccato

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16/12/2018

In India il lavoratore sarebbe stato adibito a mansioni che intaccavano il patrimonio della sua professionalità

La Kiwa Cermet Italia spa ha comunicato ad un suo dipendente il distacco presso una sua società collegata operante in India. Il lavoratore ha contestato il distacco e si è rifiutato di adempiervi assumendo che le mansioni che avrebbe dovuto svolgere in India presso la società collegata erano diverse rispetto a quelle a cui era adibito in Italia, direttamente alle dipendenze del suo formale datore di lavoro. La datrice di lavoro, di fronte al rifiuto del lavoratore, ritenendo il suo rifiuto illegittimo, gli ha intimato il licenziamento per giusta causa. Il tribunale e la corte di appello hanno annullato il licenziamento e hanno disposto la sua reintegrazione nel posto di lavoro con il risarcimento dei danni per i 4 mesi durante i quali era rimasto disoccupato.

La società ha fatto ricorso in cassazione ma la cassazione ha respinto il ricorso. La cassazione ha ribadito che nel caso in cui il distacco comporti un mutamento delle mansioni rispetto a quelle già svolte presso il datore di lavoro distaccante, il distacco deve avere il consenso del lavoratore. Il distacco non ha necessità del consenso solo nel caso in cui le mansioni nel nuovo posto di lavoro siano le stesse o comunque siano tali da non intaccare il patrimonio di professionalità del lavoratore. Nel caso controverso il lavoratore sarebbe stato adibito a mansioni caratterizzate da radicale difformità. Per la corte non ha rilevanza poi la circostanza che il lavoratore non avesse protestato con immediatezza contro l’ordine di distacco indicandone le ragioni. Peraltro, la società distaccante nella sua lettera non aveva nemmeno indicato quali sarebbero state le mansioni da svolgere in india presso la società collegata. Il lavoratore può sempre contestare il distacco anche se non lo ha contestato subito e anche se non ha indicato con immediatezza al suo datore di lavoro i motivi della sua contestazione.

Cassazione 32330 del 13 dicembre 2018.

Il trasferimento

Il datore di lavoro può trasferire il lavoratore dal luogo di lavoro presso il quale ha prestato normalmente la sua attività lavorativa. Il trasferimento da un'unità produttiva all'altra, però, può essere adottato solo in presenza di "comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive".  Senza queste esigenze oggettive il trasferimento è illegittimo. Il lavoratore, avuta comunicazione del trasferimento, può chiedere che il datore di lavoro gli fornisca la motivazione del provvedimento. Il provvedimento di trasferimento, se contestato dal lavoratore, deve essere impugnato con immediatezza, entro 60 giorni dalla sua comunicazione. Nei successivi 180 giorni, poi, occorre depositare il ricorso avanti il giudice del lavoro. L'inosservanza di questi termini comporta la definitività del provvedimento. È opportuno che il lavoratore esegua momentaneamente l'ordine di trasferimento anche se lo dovesse ritenere illegittimo, al fine di impedire insubordinazioni o assenze ingiustificate dal lavoro.