30/06/2019
Il Tribunale di Roma accoglieva in parte le domande proposte da un lavoratore nei confronti di Telecom Italia s.p.a. e condannava detta società al risarcimento del danno professionale liquidato in una somma pari al 50% della retribuzione percepita dal lavoratore , dal 16/7/1997 (epoca del demansionamento dal ruolo di dirigente a quello di addetto alla linea di supporto), fino all’estinzione del rapporto di lavoro (12/9/2015).
Tale pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello che riduceva l’ammontare del risarcimento del danno patrimoniale da demansionamento nella misura del 30% delle retribuzioni maturate nel periodo controverso, condannando altresì la società datoriale al risarcimento del danno biologico ed alla reputazione, che liquidava in via equitativa, nella misura di Euro 20.248,50.
Il lavoratore insoddisfatto ha fatto ricorso in Cassazione.
La cassazione ha evidenziato che la dequalificazione professionale per l’inadempimento datoriale può comportare un danno da perdita della professionalità di contenuto patrimoniale che può consistere sia nell’impoverimento della capacità professionale del lavoratore e nella mancata acquisizione di un maggior saper fare, sia nel pregiudizio subito per la perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno o di ulteriori potenzialità occupazionali (fra le altre v. Cass. 10.6.2004 n. 11045). Invero la violazione dell’art. 2103 c.c., può pregiudicare quel complesso di capacità e di attitudini definibile con il termine professionalità, che è di certo bene economicamente valutabile, posto che esso rappresenta uno dei principali parametri per la determinazione del valore di un dipendente sul mercato del lavoro”.
Per la Cassazione il lavoratore dequalificato per ottenere il risarcimento dei danni ha l’obbligo di allegare i fatti che hanno causato il danno di cui chiede il risarcimento perché il danno non ricorre automaticamente in tutti i casi di dequalificazione. La prova di questo danno può essere data dal lavoratore anche mediante delle presunzioni che siano gravi, precise e concordanti.
Il giudice ben può liquidare il danno con giudizio di equità, in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico per risultare il pregiudizio effettivamente subito. Ma in questa liquidazione deve “evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo”. Per evitare questo “ è necessario che il giudicante indichi, almeno sommariamente e nell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al “quantum” .
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 28 marzo – 20 giugno 2019, n. 16595