29/04/2019
A una cassiera presso un punto vendita della società datrice di lavoro è stato contestato di aver omesso di consegnare 8 buoni sconto del 10% sulla spesa alla cliente che era titolare di una tessera promozionale, per un valore complessivo di € 24; questi buoni sono stati risultati come spese presso il punto vendita dal marito della cassiera il giorno successivo all'omessa consegna alla cliente. I buoni sconto erano collegati a un numero identificativo della tessera che apparteneva ad una cliente che, interpellata dall'azienda, aveva dichiarato di averla smarrito tempo prima. Dal filmato del servizio di video sorveglianza del punto vendita era ritratto il consorte della commessa mentre pagava presso la cassa utilizzando dei buoni, poi risultati emessi tutti a poca distanza di tempo e collegati tutti ad una stessa tessera. La corte di appello aveva concluso, analizzando i vari indizi, sull'esistenza del raggiungimento della prova in ordine al volontario e indebito utilizzo dei buoni spesa da parte della commessa spettanti ad altri clienti. Su questi indizi ha riformato la sentenza del tribunale dichiarando la piena legittimità del licenziamento.
La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte di Appello ricollegando i fatti alla fattispecie penale della truffa stanti i raggiri posti in essere dalla lavoratrice che hanno leso in modo irreparabile l'elemento fiduciario del contratto di lavoro "indipendentemente da una valutazione economica dell'entità del danno causato alla datrice di lavoro, certamente non rilevante". Per la Cassazione, la corte di appello ha "correttamente utilizzando il ragionamento probatorio presuntivo secondoi principi scaturenti dalla norma di cui all'articolo 2729 codice civile, ha ricavato dall'esame dei fatti secondari, dotati dell'efficacia probatoria di gravità, precisione e concordanza, la prova del fatto principale: la consapevole volontà della lavoratrice di utilizzare per sé, con la complicità del marito, i buoni sconto che aveva abbinato ad una tessera smarrita tempo addietro dalla proprietaria". Il ricorso della lavoratrice è stato così definitivamente respinto per avere essa violato i principi di correttezza, di buona fede e di fedeltà.
Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 11.181 depositata il 23 aprile 2019
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo