06/02/2019
Il titolare di uno studio medico ha effettuato un controllo sul computer assegnato alla segretaria, col sospetto che la stessa passasse a navigare in internet e su Facebook gran parte dell’orario lavorativo. L’esame della cronologia del computer della dipendente ha evidenziato “circa 6mila accessi nel corso di diciotto mesi, di cui circa 4mila e 500 accessi a Facebook”, un numero di accessi sufficientemente elevato, per l’azienda, da legittimare il licenziamento per giusta causa della lavoratrice.
La lavoratrice ha proposto ricorso al Tribunale, che ha dato ragione all’azienda, e poi alla corte d’appello, che ha confermato la scelta aziendale di recedere dal rapporto di lavoro.
Anche la Cassazione, investita della controversia da parte della lavoratrice, ha ritenuto corretta la decisione del datore di lavoro.
Gli accessi ad internet e facebook effettuati dalla lavoratrice, e dalla stessa mai negati, si sono rivelati essere illegittimi perché non collegati ad esigenze di servizio e quindi non motivati dallo svolgimento dell’attività lavorativa. La loro dimensione ed il numero elevato sono stati altresì valutati dai giudici al fine della gravità del comportamento tenuto dalla dipendente.
È quindi legittimo il licenziamento intimato dallo studio medico datore di lavoro, poiché il comportamento della lavoratrice è «in contrasto con l’etica comune e idoneo ad incrinare la fiducia del datore di lavoro».
Durante l’orario di lavoro, il computer, che rappresenta un bene aziendale, deve essere utilizzato solo per gli scopi per i quali è assegnato al lavoratore e per lo svolgimento dell’attività lavorativa, non per svago e divertimento personale.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 ottobre 2018 – 1 febbraio 2019, n. 3133)
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