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L'azienda licenzia il lavoratore per superamento del periodo di comporto senza specificare i giorni di malattia.

Il lavoratore chiede questa specificazione, l'azienda non risponde: licenziamento illegittimo

L'azienda ha licenziato il lavoratore per superamento del periodo di comporto a sommatoria previsto dal contratto collettivo (365 giorni nell'arco di 18 mesi). Il lavoratore ha chiesto all'azienda che gli fossero specificati i giorni delle effettive assenze per malattia in base alle quali era stato intimato il licenziamento. L'azienda non ha risposto. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento; il tribunale ha accolto la sua domanda e ne ha dichiarato la illegittimità ma la Corte di appello, riformando la sentenza, l'ha rigettata. Il lavoratore ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo la illegittimità del licenziamento per non aver avuto la comunicazione aziendale dei giorni di malattia conteggiati utilmentei per la quantificazione del suo superamento del comporto.

La Cassazione ha accolto la domanda ribadendo il principio più volte ribadito "secondo cui in base alle regole dettate dalla L. n. 604 del 1966, art. 2, (modificato dalla L. n. 108 del 1990, art. 2) sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso, qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore - il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi - ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo (ex aliis, Cass. n. 14873/2004, Cass. n. 23070/2007, Cass. n. 18196/2016), tanto più vigente il rafforzato obbligo di motivazione di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 37. In particolare questa Corte ha rilevato che nel licenziamento per superamento del periodo di comporto, a fronte della richiesta del lavoratore di conoscere i periodi di malattia, il datore di lavoro deve provvedere ad indicare i motivi del recesso L. 15 luglio 1966, n. 604, ex art. 2, comma 2, (modificato dalla L. n. 108 del 1990,), in quanto le regole ivi previste sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso si applicano anche al suddetto licenziamento, non essendo dettata nessuna norma speciale al riguardo dall’art. 2110 c.c., (vedi, per tutte: Cass. 24 gennaio 1997, n. 716; Cass. 13 luglio 2010, n. 16421; Cass. 10 dicembre 2012, n. 22392; Cass. 13 gennaio 2014, n. 471; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2554, Cass. 16 settembre 2016 n. 18196, Cass. n. 21042/18).
Che il principio risulta tanto più corretto laddove si versi, come nella specie, in ipotesi di comporto per sommatoria, con conseguenti difficoltà di individuare sia il numero delle assenze che l’arco temporale di riferimento. Può al riguardo precisarsi che questa Corte ha pure affermato (v. Cass. n.21377/2016, Cass. n. 23920/2010, Cass. n. 23312/2010, Cass. n. 8707/2016) che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non è assimilabile al licenziamento disciplinare, per cui solo impropriamente, riguardo ad esso, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale, con la conseguenza che il datore di lavoro non deve indicare nella comunicazione i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile (nella specie pure difettanti), come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo poi restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato; ed inoltre che tali argomentazioni restano valide anche dopo la modifica della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, realizzata con la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 37, che ha imposto la comunicazione dei motivi contestuale al licenziamento, considerato che l’onere di forma ha la funzione di individuare e cristallizzare la ragione giustificativa del provvedimento espulsivo, che nel caso è riferita ad un evento, l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta.". Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 5752/19; depositata il 27 febbraio.

 

 

 

Le dimissioni per giusta causa.
Il lavoratore può presentare le dimissioni immediate, per giusta causa, senza concedere al datore di lavoro il preavviso previsto dalla legge e dal contratto collettivo.Le dimissioni per giusta causa si presentano se il datore di lavoro si renda inadempiente ai suoi obblighi contrattuali; l'inadempimento è configurabile, innanzitutto, nella mancata corresponsione della retribuzione o dei vari istituti di natura economica previsti dal contratto di lavoro. Si possono presentare le dimissioni per giusta causa anche in presenza di mobbing o di inosservanza delle misure di sicurezza e antinfortunistiche. L'inadempimento del datore di lavoro deve essere di un certo valore. Il mancato versamento dei contributi previdenziali non è stato ritenuto motivo per la presentazione delle dimissioni per giusta causa perché il datore di lavoro è obbligato a questi pagamenti nei confronti di un soggetto terzo e non direttamente nei confronti del lavoratore anche se ne è il beneficiario. La lettera di dimissione deve indicare in maniera specifica il motivo della presentazione delle dimissioni. Se le dimissioni sono state correttamente presentate, il lavoratore ha diritto ad avere il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso; in caso contrario questo diritto spetta al datore di lavoro, che potrà trattenere direttamente a l'importo dalla busta paga.

Dimissioni e maternità

La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.

Le dimissioni con data certa

L'efficacia delle dimissioni della lavoratrice o del lavoratore e della risoluzione consensuale del rapporto e' sospensivamente condizionata alla convalida effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l'impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale.
In alternativa alla procedura di cui al comma 17, l'efficacia delle dimissioni della lavoratrice o del lavoratore e della risoluzione consensuale del rapporto e' sospensivamente condizionata alla sottoscrizione di apposita dichiarazione della lavoratrice o del lavoratore apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro.
Nell'ipotesi in cui la lavoratrice o il lavoratore non proceda alla convalida ovvero alla sottoscrizione della comunicazione, il rapporto di lavoro si intende risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva, qualora la lavoratrice o il lavoratore non aderisca, entro sette giorni dalla ricezione, all'invito a presentarsi presso le sedi di cui al comma 17 ovvero all'invito ad apporre la predetta sottoscrizione, trasmesso dal datore di lavoro, tramite comunicazione scritta, ovvero qualora non effettui la revoca.
 La comunicazione contenente l'invito, cui deve essere allegata copia della ricevuta di trasmissione, si considera validamente effettuata quando e' recapitata al domicilio della lavoratrice o del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dalla lavoratrice o dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero e' consegnata alla lavoratrice o al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.
Nei sette giorni, che possono sovrapporsi con il periodo di preavviso, la lavoratrice o il lavoratore ha facolta' di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale. La revoca puo' essere comunicata in forma scritta. Il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca. Per il periodo intercorso tra il recesso e la revoca, qualora la prestazione lavorativa non sia stata svolta, il prestatore non matura alcun diritto retributivo. Alla revoca del recesso conseguono la cessazione di ogni effetto delle eventuali pattuizioni a esso connesse e l'obbligo in capo al lavoratore di restituire tutto quanto eventualmente percepito in forza di esse.
Qualora, in mancanza della convalida ovvero della sottoscrizione, il datore di lavoro non provveda a trasmettere alla lavoratrice o al lavoratore la comunicazione contenente l'invito entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni e della risoluzione consensuale, le dimissioni si considerano definitivamente prive di effetto.

Dimissioni e abuso del foglio firmato in bianco

Salvo che il fatto costituisca reato, il datore di lavoro che abusi del foglio firmato in bianco dalla lavoratrice o dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, e' punito con la sanzione amministrativa da euro 5.000 ad euro 30.000. L'accertamento e l'irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni territoriali del lavoro.