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Nel conteggio del comporto non bisogna considerare le assenze per malattia professionale

Con la legge Fornero diritto alla reintegrazione e al solo risarcimento dei danni non superiore a un anno di retribuzione

L’azienda intima al lavoratore il licenziamento per avvenuto superamento del periodo di comporto. Il lavoratore impugna il licenziamento sostenendo che alcuni giorni, utilmente conteggiati dall’azienda nel periodo di comporto, in realtà non dovevano essere conteggiati perché le assenze erano imputabili a malattia professionale. Il Tribunale e la Corte di Appello hanno accolto la domanda del lavoratore  e hanno annullato il licenziamento. In conseguenza dell’annullamento è stata disposta la reintegrazione nel posto di lavoro con il risarcimento dei danni nella misura di un anno di retribuzione anche se il licenziamento è stato intimato nel 2013 e la sentenza pronunciata nel 2017.

La Cassazione, nel confermare la sentenza, respingendo il ricordo dell’azienda, ha colto l’occasione per ribadire che “la norma, come correttamente inteso dalla Corte del merito, deve essere interpretata nel senso che il limite delle dodici mensilità, anche per l'assenza di previsione di una "forbice" tra un minimo ed un massimo, e al di là di una formulazione che, con il richiamo ad una misura che "non può essere superiore", potrebbe suggerire l'ipotesi di un potere discrezionale nella sua liquidazione del giudice di merito, opera a tutela del datore di lavoro, nel caso in cui - come nella fattispecie dedotta in giudizio - la durata del periodo intercorrente tra il licenziamento e la data dell'ordine giudiziale di reintegrazione, in relazione al quale competono al lavoratore le retribuzioni, venga ad essere superiore all'anno.

In sostanza, il fatto di non poter essere (la misura dell'indennità) superiore a dodici mensilità ha il suo, necessario e unico, termine di confronto nella (eventualmente) maggiore estensione del periodo considerato, svolgendo una funzione contenitiva di effetti economici destinati a incidere anche in misura molto rilevante sul debitore in ragione di sviluppi ed eventi allo stesso non addebitabili e comunque non rientranti nella accertata illegittimità della sua condotta. “ Cassazione Sentenza Sez. Lavoro  Num. 22929 Data pubblicazione: 13/09/2019

 Prima della riforma della legge Fornero del 2012, quel datore di lavoro sarebbe stato condannato non al pagamento di un solo anno di retribuzione ma al pagamento di tutti gli anni di sofferta disoccupazione, dalla data di estromissione dal posto di lavoro alla data della sentenza di reintegrazione. Nel nostro caso sarebbero stati quasi 4 anni di retribuzione.

Le dimissioni per giusta causa.
Il lavoratore può presentare le dimissioni immediate, per giusta causa, senza concedere al datore di lavoro il preavviso previsto dalla legge e dal contratto collettivo.Le dimissioni per giusta causa si presentano se il datore di lavoro si renda inadempiente ai suoi obblighi contrattuali; l'inadempimento è configurabile, innanzitutto, nella mancata corresponsione della retribuzione o dei vari istituti di natura economica previsti dal contratto di lavoro. Si possono presentare le dimissioni per giusta causa anche in presenza di mobbing o di inosservanza delle misure di sicurezza e antinfortunistiche. L'inadempimento del datore di lavoro deve essere di un certo valore. Il mancato versamento dei contributi previdenziali non è stato ritenuto motivo per la presentazione delle dimissioni per giusta causa perché il datore di lavoro è obbligato a questi pagamenti nei confronti di un soggetto terzo e non direttamente nei confronti del lavoratore anche se ne è il beneficiario. La lettera di dimissione deve indicare in maniera specifica il motivo della presentazione delle dimissioni. Se le dimissioni sono state correttamente presentate, il lavoratore ha diritto ad avere il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso; in caso contrario questo diritto spetta al datore di lavoro, che potrà trattenere direttamente a l'importo dalla busta paga.

Dimissioni e maternità

La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.