A- A A+

Il licenziamento discriminatorio deve essere dedotto tempestivamente nella causa avanti il tribunale

La lavoratrice deduce tardivamente e solo in appello di essere stata licenziata con discriminazione a ragione della sua maternità

La Sixty italia Retail srl intima a una sua  lavoratrice il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La lavoratrice impugna il licenziamento sostenendone la illegittimità perché le era stato intimato con la omissione della procedura del tentativo obbligatorio di conciliazione avanti al direzione territoriale del lavoro; a questo motivo aggiunge  che nel merito che non vi erano le ragioni giustificatrici della sua estromissione dal posto di lavoro e che ben poteva essere utilizzata in altra posizione lavorativa con mansioni equivalenti. Il tribunale lè da torto e conferma il licenziamento sia nella fse sommaria che nella fase dell’opposizione. Contro la sentenza la lavoratrice propone reclamo alla corte di appello. In corte d’appello, la lavoratrice, agli originari motivi di contestazione del licenziamento enunciati avanti il tribunale aggiunge anche la natura discriminatoria del suo licenziamento chiedendo, per la prima volta la reintegrazione nel posto di lavoro. La corte di appello ha respinto il reclamo e la nuova domanda.

La lavoratrice rivolgendosi alla Cassazione lamenta che la corte di appello, sbagliando, non aveva considerato la natura discriminatoria del suo licenziamento.

La Cassazione, però, non ha potuto che respingere il ricorso della lavoratrice perché ha definitivamente accertato e verificato che la domanda di nullità del licenziamento discriminatorio per violazione del divieto di licenziamento della lavoratrice madre in congedo parentale era stata proposta tardivamente, solo in corte di appello con il reclamo.

Per la Cassazione è vero che il giudice, ha la facoltà di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti nella lite ed all’azione esercitata in causa, ponendo a fondamento della sua decisione le norme disciplinatrici della fattispecie diverse da quelle erroneamente richiamate dalle parti con gli stessi elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa. I fatti, però, non possono essere modificati dal giudice, così come non possono essere modificate le domande; solo il diritto appartiene sempre al giudice che ben può discostarsi dalle prospettazioni delle parti e applicarlo secondo i suoi convincimenti. Per decidere sul licenziamento discriminatorio bisognava che la parte interessata deducesse i fatti posti a fondamento di questa discriminazione; ma questi fatti nel caso sottoposto a esame della Cassazione sono mancati o meglio sono stati eccepiti dalla parte interessata solo in sede di reclamo avanti la corte di appello incorrendo nel vizio della tardività e della inammissibilità.

La Cassazione ha respinto il ricorso della lavoratrice e senza considerare le sue condizioni personali (lavoratrice, lavoratrice madre e disoccupata) l’ha condannata anche a pagare 5 mila euro al suo datore di lavoro a titolo di spese processuali.

Cassazione sez. lavoro n. 31987 dell’11 dicembre 2018.

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.