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Cassiera licenziata per l’accusa di un ammanco ma la società non fornisce la prova dell’ammanco: disposta la reintegrazione nel posto di lavoro.

La Corte di appello sbagliando aveva riconosciuto alla lavoratrice la sola indennità risarcitoria senza la reintegrazione nel posto di lavoro

La Corte di appello di L'Aquila, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Avezzano, ha dichiarato illegittimo, per carenza di giusta causa, il licenziamento disciplinare intimato dalla Eurospin Lazio spa ad una sua dipendente, in quanto ritenuta responsabile, quale cassiera del supermercato, di un ammanco di cassa di euro 400,00 e, ai sensi dell'art. 18 comma V della legge n. 300 del 1970, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro e ha condannato la società al pagamento di una indennità risarcitoria nella misura di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori; La lavoratrice non è stata reintegrata nel posto di lavoro.

La lavoratrice ha fatto ricorso in Cassazione lamentando che la corte di appello avrebbe dovuto riconoscerle la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento dei danni perché la stessa corte aveva accertato la il mancato raggiungimento della prova sulla sussistenza del fatto contestato. Se del fatto contestato non si ha idonea prova, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.

La Cassazione ha accolto la tesi difensiva della lavoratrice riconoscendo che in questa fattispecie la legge prevede la reintegrazione e non la semplice corresponsione di una indennità risarcitoria dei danni subiti per il licenziamento illegittimo.

La Cassazione ha svolto la sua argomentazione giuridica come da sentenza che riportiamo sul punto. “L’assunto dei giudici di seconde cure, secondo cui il mancato raggiungimento della prova sulla sussistenza di una giusta causa ovvero di un giustificato motivo per la insufficienza di indizi gravi, precisi e concordanti idonei a far presupporre la verosimile sussistenza del contestato comportamento infedele della lavoratrice, con conseguente necessità, da un lato, di operare una valutazione di proporzionalità tra la gravità del fatto e l'entità della sanzione irrogata e, dall'altro, di applicare la tutela indennitaria attraverso la dichiarazione della risoluzione del rapporto ed il riconoscimento di una indennità risarcitoria di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto goduta, non è condivisibile.

Questa Corte con la fondamentale sentenza n. 13178/2017, ha statuito che la legge 20 maggio 1970 n. 300, art. 18 come modificato dalla legge 28.6.2012 n. 92, art. 1 comma 42, riconosce al comma 4 la tutela reintegratoria nel caso di insussistenza del fatto contestato nonché nei casi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore; la non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato rientra nel IV comma quando questa risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che stabiliscano per esso una sanzione conservativa, diversamente verificandosi "le altre ipotesi" di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per le quali l'art. 18 comma 5 citato prevede la tutela indennitaria "forte".

Orbene la Corte di appello, nella fattispecie in esame, una volta accertata la carenza o l'insussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti idonei a far presumere la verosimile sussistenza del contestato comportamento infedele della lavoratrice, ha in sostanza escluso l'ipotesi di sussistenza del fatto materiale contestato, inteso come dato fenomenico imputabile ad un soggetto asseritamente ritenuto autore (cfr. Cass. n. 13383/2017; Cass. n. 29062/2017), con la conseguenza che, nel caso de quo, la tutela applicabile era quella reintegratoria attenuata e non quella indennitaria cd. "forte"; “.

La causa è stata rinviata dalla Cassazione alla Corte di Appello perché applichi in modo corretto la previsione di legge con la reintegrazione nel posto di lavoro, il risarcimento dei danni e il versamento della contribuzione previdenziale.

Cassazione Ordinanza. Sez. lavoro, n. 30279 /2018 Data pubblicazione: 22/11/2018.

 

 

 

 

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.