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I fatti posti a sostegno del licenziamento per giusta causa devono essere gli stessi della lettera di contestazione di addebito

Nella lettera contesta l'assenza dal lavoro ma si intima il licenziamento per il diverso fatto di non aver comunicato la richiesta di congedo in modo corretto

La corte di appello di Perugia, riformando la sentenza del tribunale, ha rigettato la domanda di una lavoratrice diretta a far dichiarare la illegittimità del licenziamento disciplinare che le aveva intimato il datore di lavoro. Il fatto che aveva dato origine al licenziamento è stato così individuato: la lavoratrice, al termine del periodo di astensione dal lavoro dopo il parto, non aveva ripreso servizio e non aveva comunicato al datore di lavoro la sua volontà di usufruire del congedo, così come previsto dall'articolo 32 del decreto legislativo n. 151 del 2001 che impone l'obbligo del preavviso della comunicazione non inferiore a 15 giorni. Per la corte di appello, il datore di lavoro, ha legittimamente considerato la lavoratrice come assente ingiustificata dal lavoro per quattro giorni. Per la corte di appello l'assenza ingiustificata protratta dal lavoro, anche per la lavoratrice madre, deve considerarsi giusta causa di licenziamento.
La lavoratrice ha fatto ricorso in cassazione proponendo vari profili di illegittimità tra cui la violazione del principio della immutabilità della contestazione e cioè quello della corrispondenza tra il fatto contestato e il motivo indicato nella lettera di licenziamento. La Cassazione ha accolto il motivo e ha cassato la sentenza perché dagli atti si evinceva che la lettera di contestazione aveva ad oggetto l'assenza ingiustificata dal lavoro, mentre  la lettera di licenziamento ha assunto come motivo del licenziamento il diverso fatto che la lavoratrice, nel comunicare la sua volontà di voler usufruire del periodo di congedo post maternità, non aveva adottate le " procedure previste dalla legge in materia" Il licenziamento. In questo modo è stato intimato il licenziamento per un motivo del tutto nuovo - ossia la non conformità delle procedure adottate dalla lavoratrice a quanto previsto dalla legge in materia. Ma questo fatto non era stato non dedotto nelle precedenti missive della contestazione dio addebito.
la Cassazione ha colto l'occasione per riaffermare il principio della immutabilità della contestazione. "Questo (principio), infatti, preclude al datore di lavoro dl far valere, a sostegno della legittimità del licenziamento, circostanze diverse rispetto a quelle contestate dovendosi garantire l'effettivo diritto di difesa che la normativa sul procedimento disciplinare, di cui all'art. 7 della legge n. 300 del 1970, assicura al lavoratore incolpato".
Cassazione sez. lavoro Sent.  Num. 3536 Anno 2013.

Il potere disciplinare del datore di lavoro

  Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. La multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. Articolo 7 dello statuto dei lavoratori

La contestazione non può essere ripetuta.

Si deve  escludere che il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, lo possa esercitare una seconda volta per quegli stessi fatti, in quanto ormai consumato: essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva, nonché dei fatti non tempestivamente contestati o contestati ma non sanzionati per la globale valutazione, anche sotto il profilo psicologico, del comportamento del lavoratore e della gravità degli specifici episodi addebitati. Sentenza Cassazione del 30 gennaio 2018.  

Impugnazione della sanzione. Ferma restando la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio. Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione. Art 7 dello Statuto dei lavoratori