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Se il rapporto di lavoro è qualificato come subordinato dal giudice, il contratto collettivo si applica solo parzialmente

I principi di questa sentenza della Cassazione rischiano di premiare "i furbetti del quartierino"

Un lavoratore ha prestato la sua attività lavorativa prima con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e successivamente con un  contratto di associazione in partecipazione. Cessato il rapporto di lavoro, è sorta la controversia sulla natura giuridica dell'accordo intervenuto tra le parti. Il Tribunale e la Corte di Appello hanno dichiarato l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e hanno riconosciuto, a favore del lavoratore, le differenze retributive proprie di questa figura contrattuale. Non essendovi stata tra le parti alcuna sottoscrizione di un contratto di lavoro subordinato, i giudici dovevano decidere se e quale contratto collettivo applicare al rapporto di lavoro per quantificare l'eventuale diritto all'esistenza di ulteriori pagamenti retributivi. Il lavoratore chiedeva l'applicazione del contratto collettivo delle aziende del terziario. La Cassazione, nella sentenza commentata, ha evidenziato che le parti non hanno mai fatto richiamo ad alcuna contrattazione collettiva che potesse disciplinare il loro rapporto di lavoro subordinato, avendo concluso all'epoca dei contratti di lavoro parasubordinato. Qualsiasi applicazione di contratto collettivo è estranea alla volontà delle parti; un contratto collettivo può risultare applicabile a quel rapporto di lavoro soltanto in via indiretta, con il richiamo all'articolo 36 della Costituzione, che assicura al lavoratore il diritto all'equa retribuzione. Il contratto collettivo può essere applicato solo per la determinazione della retribuzione base spettante al lavoratore subordinato, senza riguardo agli altri istituti contrattuali previsti dal contratto collettivo che, per la Cassazione, costituisce solo un possibile parametro orientativo per il giudice che deve assicurare al lavoratore la" giusta retribuzione". La Cassazione ha così affermato il principio secondo il quale "in tema di determinazione della giusta retribuzione, il giudice del merito che assuma come criterio orientativo un contratto collettivo non vincolante per le parti, deve prendere in considerazione solo gli istituti retributivi che costituiscono il cosiddetto "minimo costituzionale". I contratti collettivi post corporativi, non direttamente applicabili al rapporto, possono essere utilizzati soltanto quale parametro e quindi con esclusione dell'automatica applicazione degli istituti convenzionali di cosiddetta retribuzione indiretta, quali le mensilità aggiuntive e gli scatti di anzianità, la cui applicazione è subordinata all'esito positivo dell'indagine del giudice circa la necessità di computare i detti compensi per garantire l'adeguatezza della retribuzione ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione;…". Il giudice, secondo questa sentenza, potrà riconoscere al lavoratore anche gli istituti di retribuzione differita previsti dal contratto collettivo ritenuto applicabile (14ª mensilità, riduzione dell'orario, scatti di anzianità, ed altre indennità) solo nel caso in cui questo riconoscimento "si dimostra essenziale al fine della determinazione del compenso secondo i principi stabiliti dall'articolo 36 della Costituzione". La Cassazione, nell'affermare questo principio, ha fatto richiamo ad una pluralità di sentenze della stessa Corte che hanno nel tempo affermato questo indirizzo.

La sentenza ha sicuramente l'effetto indesiderato di premiare le aziende non virtuose, cioè quelle aziende che violando la legge, hanno qualificato in modo fraudolento il rapporto di lavoro. Quelle aziende, con i principi affermati in questa sentenza, si vedono così destinatarie di un trattamento privilegiato che le pongono in una posizione di concorrenza sleale con chi, invece, è stato rigorosamente osservante delle norme di legge e i contratti collettivi  ha  dichiarato di volerli applicare da subito e nella loro interezza.

Cassazione sentenza numero 20.452 resa pubblica il 2 agosto 2018.

Il contratto collettivo peggiorativo

Nell'ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni "in peius" per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall'esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 c.c.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale. cassazione civile sez. lav.  19 giugno 2014 n. 13960  

Il contratto collettivo non si applica a tutti

I contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l'unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l'esplicito dissenso dall'accordo e potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale separato. Cassazione civile sez. lav.  18 aprile 2012 n. 6044