22/09/2018
Un'azienda ha necessità di ridurre il suo organico; ricorre così alla procedura del licenziamento collettivo. Spedisce alle organizzazioni sindacali la lettera di avvio della procedura; il confronto sindacale si chiude senza accordo tra le parti. La società procede al licenziamento collettivo e, tra gli altri, licenzia una lavoratrice che ritiene in esubero con riferimento alle sue esigenze organizzative connesse alle ridotte attività rimaste. La lavoratrice è stata individuata dall'azienda come persona destinataria del licenziamento senza che, però, l'azienda procedesse a comparare la sua posizione personale (anzianità anagrafica, anzianità di servizio, carichi familiari) con quella degli altri lavoratori rimasti in forza.
La lavoratrice ha ritenuto il licenziamento a lei intimato illegittimo per la violazione dei criteri di scelta; assumeva di avere maggiore anzianità di servizio e maggior carichi di famiglia rispetto ad altri colleghi che erano stati mantenuti in servizio.
Il tribunale e la corte di appello hanno dato ragione alla lavoratrice e hanno ordinato la sua reintegrazione nel posto di lavoro con il riconoscimento del risarcimento dei danni pari alla retribuzione persa e, comunque, non superiore ad un anno.
L'azienda ha fatto ricorso in cassazione lamentando l'erroneità delle decisioni dei giudici di merito. In particolare l’azienda si difendeva sostenendo che quella lavoratrice era stata posta in mobilità "perché portatrice di una professionalità inconciliabile con le esigenze tecnico, produttive e organizzative dell'azienda… Era stata ridotta l'attività datoriale ad un solo settore e i lavoratori da licenziare erano stati scelti, tra tutti i dipendenti, avendo riguardo alle professionalità compatibili con il settore conservato".
La corte di cassazione ha rigettato integralmente il ricorso aziendale motivando così la sua decisione:
"… rammentato che se è vero che, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, tuttavia è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, terzo comma, legge n. 223 del 1991 ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. 21/10/2015 n.21476, 09/03/2015 n. 4678, 12/01/2015 n. 203, 11/12/2012 n. 22655, 20/02/2012 n. 2429 e 03/05/2011 n. 9711). Ben può quindi il datore di lavoro circoscrivere ad una unità produttiva la platea dei lavoratori da licenziare ma deve indicare nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Qualora, nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell'obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali (cfr. Cass. n. 4678 del 2015 cit.). Ove poi i lavoratori addetti al reparto o settore da sopprimere siano idonei - per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, è illegittima la scelta che, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative, risulti ancorata al solo fatto che essi erano impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto (cfr. Cass. n. 203 del 2015 cit.). "
la cassazione ha, infine, evidenziato che "Nella comunicazione iniziale di avvio della procedura non era stata addotta alcuna ragione tecnica organizzativa o produttiva che conducesse a delimitare l'ambito di scelta dei lavoratori ad un solo settore o area dell'impresa."
L'errore procedurale per la Cassazione è da individuare nel programma enunciativo contenuto nella lettera di avvio del licenziamento collettivo; se l'azienda avesse indicato in quellelettera i motivi per i quali non riteneva di dover adottare i criteri soggettivi di scelta, privilegiando solo le esigenze oggettive, quella procedura avrebbe potuto avere un esito ben diverso.
le aziende nel formulare la lettera di avvio della procedura di licenziamento collettivo devono indicare in modo completo le ragioni sottostanti alla loro iniziativa e devono indicare anche i criteri di scelta del personale da licenziare in modo da consentire alle organizzazioni sindacali un confronto completo e leale
Il programma aziendale sulla individuazione dei criteri che saranno adottati per individuare il personale da licenziare deve essere enunciato con chiarezza, completezza e trasparenza fin dall'inizio dell'avvio della procedura.
La lettera di avvio della procedura del licenziamento collettivo è l'atto principe; quest’ atto deve essere idoneamente formato.
Ordinanza della cassazione numero 22.178/2018 pubblicata il 12 settembre 2018