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Le giustificazioni rese nel procedimento disciplinare possono valere come confessione stragiudiziale.

Cassazione sentenza Sez. lavoro n. 10316 Anno 2017

Un impiegato di banca è stato accusato di “reiterate sottrazioni dalla cassa di somme di denaro in contropartita di operazioni prive di giustificativi di spesa e di plausibili ragioni, il tutto nell'ambito di numerose operazioni contabili di addebito di costi per l'agenzia sotto la voce "spese postali". Il tribunale e la corte di appello hanno dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare. Il lavoratore ha proposto ricorso in cassazione assumendo che la sua ammissione di svariati addebiti (ma non di tutti) fatta nel corso del procedimento disciplinare in sede di audizione, con l'assistenza d'un sindacalista, fosse stata resa in stato di incapacità naturale date le condizioni di turbamento psichico (attestate dalla documentazione sanitaria e da una perizia di parte) in cui si trovava; prosegue il lavoratore con il dire che tali condizioni, ascrivibili anche alla stressante situazione lavorativa, non potevano essere escluse sol per la presenza, durante l'audizione, d'un sindacalista.

La Cassazione ha stroncato in modo netto le argomentazioni difensive del lavoratore affermando che “Le ammissioni rese in sede di procedimento disciplinare dal lavoratore al datore di lavoro hanno la natura giuridica, ove accompagnate dall'animus confitendi, di confessione stragiudiziale resa alla parte o a chi la rappresenta, confessione equiparata a quella giudiziale (art. 2735 co. 1° c.c.) e non revocabile se non per errore di fatto o violenza (art. 2732 c.c.). “

Su questo principio il ricorso del lavoratore in Cassazione è stato respinto.

 

 

 

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