A- A A+

Violento in famiglia ma quei fatti non possono giustificare il licenziamento del ferroviere

Un capostazione reintegrato nel posto di lavoro anche se condannato per maltrattamenti in famiglia

Un capostazione è stato condannato penalmente per condotta di maltrattamenti nei confronti dei familiari. Le sue sentenze di condanna sono divenute definitive e hanno avuto anche una certa risonanza mediatica. Le ferrovie, poggiando su queste condanne, hanno ritenuto che la condotta del lavoratore fosse incompatibile con il rapporto di lavoro e hanno proceduto al suo licenziamento. Il tribunale di Milano ha ritenuto legittimo il licenziamento ma la Corte di appello lo ha dichiarato totalmente infondato, condannando le ferrovie a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a pagargli l'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione percepita. Per la corte di appello le condanne penali per maltrattamenti in famiglia non possono essere qualificate come inadempimenti al contratto di lavoro; il motivo dedotto a sostegno del licenziamento è, pertanto, nella dialettica contrattuale e nei doveri del lavoratore verso l'impresa, del tutto insussistente. Da questa insussistenza degli inadempimenti al contratto di lavoro subordinato consegue il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro.

La corte di cassazione ha respinto il ricorso delle Ferrovie contro la sentenza affermando che i fatti contestati  rientravano in un ambito strettamente personale e privato della persona del lavoratore e erano senza riverberi sul diverso piano del contratto di lavoro e non potevano compromettere la fiducia del datore di lavoro nel futuro e corretto svolgimento dell'attività lavorativa. Nei comportamenti familiari del capostazione non era ravvisabile alcun grave pregiudizio, né effettivo né potenziale, a danno dell'azienda. Non era esistente nemmeno il danno di immagine. Sulla stampa erano stati riportati sulla vicenda riferimenti generici e solo a livello locale.

Il capostazione è stato così definitivamente reintegrato nel posto di lavoro.

Corte di cassazione sezione lavoro sentenza numero 21958/2018 depositata il 10 settembre 2018.

 

 

 

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.