25/06/2018
Un lavoratore chiama in causa l'impresa appaltante dei servizi dove ha prestato la sua attività lavorativa chiedendo il pagamento del buono pasto che l'impresa datrice di lavoro e appaltatrice delle opere non aveva provveduto a corrispondergli nei mesi della sua attività lavorativa. Il tribunale e la corte di appello hanno accolto la domanda del lavoratore perché hanno ritenuto che il buono pasto, essendo commisurato proporzionalmente alle ore lavorate, in base agli accordi collettivi, doveva essere considerato corrispettivo della prestazione lavorativa e come tale soggetto all'obbligo di solidarietà nel pagamento da parte dell'impresa appaltante. La cassazione intervenendo nella controversia per decidere sul motivo di gravame proposto dalla società datoriale che riteneva errata l'attribuzione di natura retributiva, anziché assistenziali, ai buoni pasto ha affermato che "il valore dei pasti, di cui il lavoratore possa fruire in una mensa aziendale o presso esercizi convenzionati con il datore di lavoro, non costituisce elemento integrativo della retribuzione, allorché il servizio mensa rappresenti un'agevolazione di carattere assistenziale, anziché un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, per la mancanza di corrispettività della relativa prestazione rispetto a quella lavorativa e di collegamento causale tra l'utilizzazione della mensa e del lavoro prestato, sostituendosi ad esso un nesso meramente occasionale con il rapporto". La cassazione ha concluso affermando che il valore dei pasti non è un elemento della retribuzione rappresentando un'agevolazione di carattere assistenziale. Diversa la soluzione giuridica si potrebbe avere solo nel caso in cui il contratto collettivo o accordi individuali di lavoro attribuiscano al buono pasto il valore di retribuzione quale controprestazione dell'attività lavorativa.
Secondo questo indirizzo della corte di cassazione, occorre esaminare la disciplina giuridica del contratto collettivo e gli accordi individuali di lavoro per verificare se la mensa ha natura retributiva o assistenziale. Se la sua natura e assistenziale, l impresa appaltante dei servizi non ha l'obbligo di coprirla.
(Cassazione n. 10.334/2016)
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo