15/03/2018
Il datore di lavoro ha contestato ad un lavoratore che nel suo periodo di assenza dal servizio, per 4 giorni, a seguito di una presunta malattia, si era sibito in pubblico svolgendo attività di concertista unitamente ad altre persone. In particolare si era esibito nell'ambito di una serata organizzata per la festa della Madonna del Carmelo con la sua band. Il datore di lavoro ha contestato al lavoratore che con il suo comportamento, violando i suoi doveri di correttezza e buona fede e quelli di diligenza e fedeltà ha rischiato di compromettere la guarigione sottoponendosi ad uno stress psicofisico derivante dall'esecuzione del concerto. Dopo la contestazione, il datore di lavoro ha intimato al lavoratore il licenziamento per giusta causa. Il tribunale ha rigettato la domanda del lavoratore che chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro dichiarando la legittimità del licenziamento. La corte di appello, invece, ha disposto la sua reintegrazione nel posto di lavoro con il risarcimento del danno.
La cassazione ha affermato che "nella specie i principi che informano la materia sono consolidati: lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sè sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolente simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l'attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore (v., ex plurimis, Cass. n. 17625 del 2014, Cass., n. 24812 del 2016, Cass., n. 21667 del 2017). Inoltre, l'espletamento di attività extralavorativa durante il periodo di assenza per malattia costituisce illecito disciplinare non solo se da tale comportamento deriva un'effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa è solo messa in pericolo dalla condotta imprudente (v. Cass., n. 16465 del 2015), con una valutazione di idoneità che deve essere svolta necessariamente ex ante, rapportata al momento in cui il comportamento viene realizzato (citata Cass., n. 21667 del 2017, n. 10416 del 2017, n. 24812 del 2016, n. 17625 del 2014). "
La cassazione ha concluso che la corte di appello ha applicato con correttezza i principi sopra riportati ma ha sbagliato nella parte in cui ha disposto la reintegrazione nel posto di lavoro con il risarcimento dei danni e non, invece, il solo risarcimento del danno da 12 a 24 mensilità della retribuzione globale di fatto percepita ma senza la reintegrazione nel posto di lavoro poiché il fatto contestato comunque sussiste. La corte di appello deve riesaminare la controversia applicando questo principio.
Sentenza cassazione numero 6.047/2018 pubblicata il 13 marzo.
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