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Dalla data del fallimento fino alla data del licenziamento, se non vi è prestazione lavorativa, non si ha diritto a nulla

Sentenza Cassazione, sez. Lavoro, n. 522/18; depositata l’11 gennaio

Una società è stata dichiarata fallita. Un lavoratore ha chiesto di essere ammesso al passivo del fallimento in via privilegiata sostenendo di aver diritto al pagamento delle retribuzioni arretrate fino alla data del fallimento e al pagamento delle retribuzioni dalla data di dichiarazione del fallimento fino alla data del suo licenziamento e dalla data del licenziamento alla reintegrazione, per essere stato il licenziamento a lui intimato inefficace. Pacificamente quel lavoratore non aveva più prestato la sua attività lavorativa dalla data del fallimento fino alla data del licenziamento. Il tribunale ha respinto totalmente le domande del lavoratore, non ammettendolo a nulla; la corte di appello, invece, le ha accolte nella loro interezza, per tutti gli anni, in privilegio.  La procedura fallimentare ha fatto ricorso in Cassazione. La cassazione ha riformato, sia pur parzialmente, la sentenza, ed ha riconosciuto al lavoratore le retribuzioni arretrate fino alla data del licenziamento per i mesi lavorati,  ma senza aver il diritto di percepire le retribuzioni maturate dalla data del fallimento fino al licenziamento, con il diritto però a conseguire il risarcimento dei danni per gli anni successivi essendo stato dichiarato illegittimo il licenziamento a lui intimato dal curatore, per violazione della legge sui licenziamenti collettivi.

La Cassazione ha motivato la sua decisione assumendo che il rapporto di lavoro, al pari di ogni altro contratto, ai sensi dell’art. 72 della legge fallimentare, in assenza di esercizio provvisorio di impresa, “rimane sospeso in attesa della dichiarazione del curatore ai sensi dell’art. 72 l.f., il quale può scegliere di proseguire nel rapporto medesimo ovvero di sciogliersi da esso... In tale lasso temporale, che va dalla dichiarazione di fallimento sino alla scelta del curatore, il rapporto di lavoro, in assenza di prestazione, pur essendo formalmente in essere, rimane sospeso e, difettando l’esecuzione della prestazione lavorativa, viene meno l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione e i contributi (Cass. n. 7473 del 2012). In detto tempo il curatore esercita una facoltà legittima, volta a verificare la possibilità e la convenienza alla prosecuzione dei rapporti di lavoro, in vista della conservazione della potenzialità produttiva dell’azienda, anche ai fini di una strategia liquidatoria; lo stato di incertezza in cui versa il lavoratore è bilanciato dalla possibilità a questi riconosciuta dall’art. 72 l.f. (in precedenza comma 3, attualmente comma 2) di mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine entro il quale deve determinarsi, decorso il quale il contratto si intende sciolto; non può escludersi, infine, laddove il tempo sia oltremodo prolungato per inerzia o negligenza della curatela, o comunque per un uso distorto o colpevole della facoltà riconosciuta, che possa essere fatta valere una responsabilità risarcitoria di diritto comune da parte dei danneggiati, ove ne ricorrano i presupposti. Nel caso in cui il curatore deliberi di subentrare nel rapporto di lavoro esso prosegue con l’obbligo di adempimento per entrambe le parti delle prestazioni corrispettive.Ove, invece, il curatore intenda sciogliersi dal rapporto di lavoro dovrà farlo nel rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi, non essendo in alcun modo sottratto ai vincoli propri dell’ordinamento lavoristico perché la necessità di tutelare gli interessi della procedura fallimentare non esclude l’obbligo del curatore di rispettare le norme in generale previste per la risoluzione dei rapporti di lavoro (cfr., tra le altre, Cass. n. 5033 del 2009, tra le stesse parti; poi, sulla stessa vicenda, Cass. nn. 23665, 19406 e 19405 del 2011).” Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 522/18; depositata l’11 gennaio.

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