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Licenziamento collettivo: è il lavoratore a dover dare la prova della sua illegittimità

Il lavoratore deve dedurre i fatti e darne la prova

Un lavoratore impugna il licenziamento collettivo di cui è stato destinatario, assumendo che era onere del datore di lavoro dare la prova giudiziale  dei fatti costitutivi di legittimità  del suo provvedimento. La Cassazione ha colto l'occasione per ribadire il principio giuridico che, invece, impone al lavoratore l'onere di dedurre in modo specifico dei motivi di doglianza contro la procedura di morbilità all'esito della quale gli è stato intimato quel licenziamento.

Il principio è stato così fissato dalla Corte. 

"Come già osservato da questa Corte il lavoratore, il quale voglia far valere l’inefficacia o l’annullamento del licenziamento intimatogli, giusta quanto disposto dall’art. 5, terzo comma, e dall’art. 24, primo comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di "iter" procedurale per la messa in mobilità o per la riduzione del personale, è tenuto - a fronte dei numerosi adempimenti imposti dalle suddette norme - ad indicare le specifiche omissioni e le specifiche irregolarità addebitate e su cui fonda il "petitum", in osservanza del disposto dell’art. 414 cod. proc. civ. ed in ragione dei criteri caratterizzanti il processo del lavoro. Solo quando il lavoratore che propone l’impugnativa abbia sufficientemente allegato i fatti costitutivi della pretesa azionata in relazione alla contestazione della mancata osservanza dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità grava sul datore di lavoro l’onere di indicare e provare le circostanze di fatto poste a base dell’applicazione dei suddetti criteri (Cass. 8.8.2005 n. 16629). Nello stesso senso Cass. 19.5.2005 n. 10591, secondo cui è pacifico che nel giudizio di impugnativa di un licenziamento intimato a conclusione della procedura di mobilità ai sensi della legge 223/1991, il giudice di merito non può (per non incorrere nel vizio di extrapetizione) prendere in considerazione eventuali ulteriori ragioni di illegittimità della procedura stessa, in difetto di specifiche censure, in applicazione del principio di carattere processuale secondo cui la parte che chiede al giudice un determinato provvedimento è tenuta ad allegare tutte le circostanze e gli elementi di fatto che giustificano la proposizione della domanda, principio che, in caso di deduzione dell’illegittimità di un licenziamento, comporta la necessità di indicare i vizi di forma o di sostanza che lo inficiano, fermo restando che il datore di lavoro è onerato della prova dell’osservanza delle prescrizioni di legge. Il principio è stato recentemente ribadito da questa Corte con sentenze n.10420/17, n.20436/15, secondo cui nel giudizio di impugnativa di un licenziamento intimato a conclusione della procedura diretta al collocamento di lavoratori in mobilità, a norma dell’art. 4 della l. n. 223 del 1991, il giudice di merito non può rilevare d’ufficio eventuali ragioni di illegittimità della procedura, incombendo sulla parte l’onere di allegare, tempestivamente, tutte le circostanze che giustificano la proposizione della domanda, inclusi i vizi di forma o di sostanza dei quali intenda avvalersi ai fini della inefficacia o annullabilità della procedura." Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 28972/17; depositata il 4 dicembre.

Nella foto: affresco dagli scavi di Pompei, esposto al Museo Archeologico di Napoli.