A- A A+

Il danno esistenziale deve essere provato

tag  News  danno esistenziale  risarcimento  prova 

27/07/2017

Chi lo deduce lo deve provare

Con ricorso al tribunale, un dipendente ha agito nei confronti del datore di lavoro chiedendo il risarcimento dei danni subiti per non essere stato riammesso in servizio con l'attribuzione delle medesime mansioni in precedenza svolte. Il tribunale accoglieva la domanda riconoscendo l'esistenza del danno biologico ed esistenziale. La corte d'appello confermava la sentenza affermando che il danno esistenziale lamentato dal lavoratore si configurava come un "danno presunto" che non aveva necessità di ulteriori elementi di prova.
La corte di cassazione, ha ribaltato la decisione dei giudici di merito affermando il seguente principio: " La liquidazione equitativa della componente esistenziale del danno alla persona presuppone la allegazione in concreto e la prova da parte del lavoratore del complessivo peggioramento della qualità della vita, sul piano delle relazioni umane e del contesto familiare sicché non è configurabile un danno implicito nella mancanza di lavoro ma spetta all’interessato allegare precisi elementi di fatto e fornire la prova del danno, anche avvalendosi di presunzioni (in termini: Cassazione civile, sez. lav., 25/08/2014, n. 18207).
La Corte di merito, affermando che la componente esistenziale del danno non patrimoniale si configura come danno presunto, di cui il lavoratore non deve fornire la prova concreta, non si è attenuta all’indicato principio di diritto."
Il lavoratore, evidentemente, nel suo principale atto difensivo, rappresentato dal ricorso depositato avanti il tribunale, è stato omissivo nell'indicare gli elementi in fatto che dovevano costituire il lamentato danno esistenziale conseguente alla dequalificazione subita.

 

 

 

 

 

 

 

La donna nella Grecia classica e dintorni

Da Ippocrate in poi, molte teorie venivano formulate dalla medicina greca a proposito della capacità riproduttiva della donna, ed alcune erano estremamente fantasiose.

Si pensava infatti che l’utero “vagasse” per il corpo femminile se la donna non aveva rapporti e che quindi l’unico rimedio fosse il matrimonio. 

Nel frattempo, alcuni medici consigliavano di legare la donna su una scala a testa in giù e scuoterla finché l’utero non fosse ritornato nella sua sede naturale; oppure, se era arrivato al cervello, si cercava di farlo scendere facendo annusare alla malcapitata sostanze maleodoranti.  E così via.

La donna nubile era considerata con malevolenza all’interno della famiglia, in cui non aveva un ruolo preciso; solo sposandosi, acquisiva uno status sociale consono.

 Anche il pensiero filosofico non era da meno riguardo alla differenza di genere: lo stesso Platone (considerato impropriamente paladino della parità tra maschio e femmina) riteneva che, per la teoria della reincarnazione, se un essere di sesso maschile operava male nella vita si sarebbe ritrovato dopo la morte ingabbiato in un corpo femminile. 

 Ad Atene, pur essendo il matrimonio monogamico, l’uomo poteva avere ben tre donne: la moglie, che gli assicurava la legittimità dei figli, una concubina ed una etera, che lo accompagnava nei banchetti pubblici ed era in grado di conversare di svariati argomenti.  La moglie, anche se non era relegata in casa, non aveva occasione di intessere relazioni sociali, ma era isolata nell’ambito della famiglia, priva di una vera educazione e di possibilità reali di socializzazione.

Anche ai giorni nostri, le donne devono fronteggiare sul lavoro il mobbing e la discriminazione di genere. Non è difficile comprendere perché ciò possa avvenire, considerati anche questi precedenti storici dei nostri antenati scientifici, letterari e filosofici che, pur nella loro cultura, hanno sempre attribuito alla donna un ruolo marginale e di sottomissione.

 

Nella foto: vaso greco che raffigura la nascita di Bacco dalla coscia di Zeus; aspirazione all'autosufficienza maschile. Opera esposta nel museo nazionale archeologico di Taranto.