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Condannati 2 lavoratori per concorrenza sleale, ma assolta la terza società che non ha istigato i dipendenti alla violazione degli obblighi di fedeltà

Due dipendenti di una società, fanno costituire un'altra società alle rispettive mogli perché intraprenda un'attività commerciale direttamente in concorrenza con il proprio datore di lavoro. I mariti, attraverso i loro contatti personali, utilizzando le conoscenze di cui godevano in virtù dell'attività lavorativa svolta, hanno iintessuto un'attività di concorrenza sleale sottraendolo all'azienda l'intero portafoglio dei clienti che deteneva una terza società che operava nel settore delle agenzie di viaggio e che fungeva da punto di raccolta della clientela. Il tribunale condannava i 2 dipendenti e la società costituita dalle mogli al risarcimento dei danni per concorrenza sleale mentre mandava assolta la terza società. I lavoratori sono stati condannati per violazione dell'obbligo di fedeltà poiché la loro attività concorrenziale si era svolta in costanza di rapporto di lavoro subordinato. La corte di appello confermava il rigetto di ogni domanda risarcitoria proposta contro la società che faceva da punto di raccolta della clientela perché era stata ritenuta estranea all'attività di concorrenza sleale.

La terza società è stata esclusa da ogni forma di responsabilità perché non è risultato che si sia appropriata di notizie riservate relative all'attività imprenditoriale della società danneggiata nè è risultato che la stessa abbia in qualche modo istigato i lavoratori all'inadempimento dell'obbligo di fedeltà; questa società semplicemente "risulta essere stata il veicolo dell'inadempimento dell'obbligo di fedeltà" ma non una concorrente diretta della violazione di questo obbligo. Il principio giurisprudenziale affermato dalla corte di cassazione è stato così sintetizzato: "un imprenditore non pone in essere atti contrari alla legittima concorrenza per il solo fatto di avvalersi della collaborazione di soggetti che hanno violato l’obbligo di fedeltà nei confronti del loro datore di lavoro, essendo necessario, a tal fine, che il terzo si appropri, per il tramite del dipendente, di notizie riservate nella disponibilità esclusiva del predetto datore di lavoro, ovvero che il terzo istighi o presti intenzionalmente un contributo causale alla violazione dell’obbligo di fedeltà cui il dipendente stesso è tenuto."
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 13550/17; depositata il 30 maggio.

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