20/08/2015
Il tribunale di Milano, prima, e la corte di appello, dopo, hanno respinto la domanda di annullamento di un licenziamento intimato da un’azienda di trasporti per scarso rendimento del lavoratore. Lo scarso rendimento era rinvenibile, sia per il tribunale che per la Corte di Appello, essenzialmente a causa delle ripetute assenze del lavoratore per malattia. Tra i vari motivi del ricorso in Cassazione, il lavoratore si doleva per avere la sentenza dei giudici di merito trascurato che lo scarso rendimento che legittima l'esonero dal servizio dell'agente doveva essergli necessariamente imputabile per colpa, mentre le assenze per malattia non erano a lui ascrivibili a tale titolo. La Corte di Cassazione, ribaltando totalmente le due pronunce dei giudici di merito, ha affermato che “lo scarso rendimento è caratterizzato da colpa del lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia…. La contraria opinione (che sembra condivisa in un passaggio della motivazione di Cass. n. 18678/14, che però riguarda una fattispecie non coincidente con quella per cui oggi è processo) si pone in contrasto con l'ultratrentennale e sempre costante giurisprudenza di questa S.C. - cui va data continuità - che, a partire da Cass. S.U. n. 2072/80, ha sempre statuito che, anche in ipotesi di reiterate assenze del dipendente per malattia, il datore di lavoro non può licenziarlo per giustificato motivo, ai sensi dell'art 3 legge n. 604/66, ma può esercitare il recesso solo dopo che si sia esaurito il periodo all'uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità”. Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 maggio – 5 agosto 2015, n. 16472.
Il licenziamento per scarso rendimento è una fattispecie che richiede per la sua realizzazione rigorosi elementi di configurabilità il cui onere probatorio è interamente a carico del datore di lavoro.
Si riporta la sentenza integrale della Cassazione sullo scarso rendimento.
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo