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I debiti contratti da una dipendente bancaria non legittimano il suo licenziamento

Una banca intima il licenziamento disciplinare ad una dipendente che, a causa di debiti contratti nelle sue scelte extralavorative, ha subito la notificazione di atti di precetto e successivamente di atti di pignoramento non avendo provveduto ad estinguere le sue posizioni debitorie. La dipendente licenziata svolgeva mansioni di carattere meramente amministrativo (controllo della regolarità formale di cessioni di crediti rivenienti da fatture, loro registrazione nel sistema informatico, aggiornamento dei dati anagrafici e societari dei clienti e mera compilazione di lettere di intimazione di rientro destinate ai morosi),

Per la banca i debiti della dipendente compromettono il vincolo fiduciario nei confronti della persona della lavoratrice  con il conseguente diritto di risolvere il rapporto di lavoro per gravissima inadempienza contrattuale. Il tribunale, in prima istanza dà ragione alla banca e respinge la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro. La corte di appello però riforma la sentenza e dichiara la illegittimità del licenziamento.

La corte di cassazione, pur ritenendo astrattamente rilevanti i comportamenti extralavorativi sul rapporto di lavoro, conferma la sentenza di appello.

La corte di cassazione ha argomentato la sua decisione affermando che "In ordine alla possibile rilevanza, come giusta causa di licenziamento, anche di condotte extralavorative si tenga presente che in dottrina si sono a lungo confrontate due opzioni di fondo: l'una, restrittiva, espunge dal novero dei comportamenti passibili di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo qualunque comportamento esterno agli obblighi lavorativi oggetto di contratto; l'altra, estensiva, comprende nel concetto di giusta causa anche condotte che, pur se concernenti la vita privata del lavoratore, tuttavia possano in concreto risultare idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che connota il rapporto di subordinazione, nel senso che abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale, sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative d'un futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa.

Altra dottrina, invece, condividendo con la giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass. n. 1519/93; Cass. n. 1355/87) un approccio meno dogmatico al tema, privilegia una valutazione complessiva dei singoli casi, tenendo conto della natura e della qualità delle parti e della loro posizione, dell'immagine esterna dell'azienda, nonché del grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni.
In altre parole, la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o comprometterne il rapporto fiduciario (cfr. Cass. n. 776/15).
Nondimeno, è pur sempre necessario che si tratti di comportamenti che, per la loro gravità, siano suscettibili di scuotere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro perché idonei, per le concrete modalità con cui si manifestano, ad arrecare un pregiudizio, anche non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali (cfr. Cass. n. 15654/12).
È proprio questo il punto su cui la ricorrente non confuta in maniera specifica ed argomentata il rilievo della Corte territoriale secondo cui non è emerso che la situazione economica della controricorrente ne abbia in concreto influenzato negativamente l'espletamento dei compiti lavorativi o il tenore professionale della prestazione."
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 maggio – 31 luglio 2015, n. 16268
Presidente Stile – Relatore Manna
 

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