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trasferimento non impugnato, fa perdere la causa ad una lavoratrice

tag  trasferimento  licenziamento  impugnazione  reclamo 

06/03/2014

Le nuove leggi a volte colpiscono in modo silenzioso e lentamente.

 Ischia.it - In TrenoUna lavoratrice nel 2012 è stata trasferita da un'azienda in un nuovo luogo di lavoro distante centinaia di chilometri. La lavoratrice ha immediatamente contestato la legittimità del trasferimento; ricevuta la comunicazione del trasferimento, la lavoratrice è stata assente dal lavoro per quasi cinque mesi. Cessata la malattia si è ripresentata nel vecchio posto di lavoro affermando il suo diritto a continuare la sua prestazione in quel luogo. L'azienda le ha contestato l'insubordinazione all'ordine di trasferimento e successivamente l'ha licenziata per giusta causa.

La lavoratrice si è rivolta al tribunale di Arezzo, sostenendo l'insussistenza della sua insubordinazione perché non aveva obbedito ad un ordine aziendale illegittimo poggiante su un trasferimento privo di comprovate ragioni. Conseguentemente la lavoratrice ha impugnato avanti il tribunale il licenziamento ed ha chiesto la reintegrazione nel posto di lavoro. L'azienda si è difesa eccependo, in via preliminare, che la lavoratrice non aveva impugnato giudizialmente anche  il suo trasferimento, depositando l'apposito ricorso avanti l'autorità giudiziaria, con la conseguenza che il licenziamento era legittimo perché il trasferimento non era stato giudizialmente impugnato. Per ben due volte il tribunale di Arezzo ha dato ragione alla lavoratrice perché ha ritenuto non necessaria l'impugnazione giudiziale del provvedimento di trasferimento, ordinando la sua reintegrazione nel posto di lavoro. La corte di appello di Firenze, però, su reclamo dell'azienda, ha dichiarato la legittimità del licenziamento perché il trasferimento non risultava essere stato impugnato con il ricorso giudiziale, con la conseguenza che esso era da considerarsi definitivo. Essendo definitivo il trasferimento era da ritenersi fondato il licenziamento per giusta causa perché conseguenza dell'insubordinazione della lavoratrice, che non aveva eseguito un trasferimento ormai definitivo. per la Corte di Appello non essendo stato impugnato il trasferimento non si può più discutere sull'esistenza  delle comprovate ragioni del trasferimento.

La lavoratrice è stata vittima della nuova legge del collegato lavoro del 2010, che ha imposto l'impugnazione del trasferimento entro il termine di 60 giorni dalla sua comunicazione ed il promovimento dell'azione giudiziaria entro il successivo termine di 180 giorni.

In modo silenzioso quella legge ha colpito mortalmente un diritto che il lavoratore precedentemente poteva esercitare anche a distanza di molti anni dal suo avverarsi.

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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di caritàPer questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo