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Il giornalista non iscritto all’albo ha diritto al trattamento economico del ccnl.

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10/01/2014

Ernesto Treccani, opera


La corte di Cassazione ha confermato il suo indirizzo di riconoscere il trattamento economico e normativo a chi pur non essendo iscritto all’albo svolge mansioni di fatto di natura giornalistica. Si riporta il principio di diritto affermato dalla corte di cassazione che ha confermato una sentenza della corte di appello di Torino:
“riconosce il giudice d'appello che "presupposto indefettibile per la rivendicazione dello status professionale di giornalista è l'iscrizione al relativo albo" ai sensi della disposizione collettiva e del DPR n. 115 del 1965, ma poi, citando giurisprudenza di legittimità, precisa che "le mansioni giornalistiche ben possono essere espletate anche da chi non possieda lo status di giornalista" e giunge alla conclusione che "il contratto in questione, ancorché nullo per violazione della L. 3/2/69 n. 69 sull'esercizio della professione giornalistica, produce pur sempre ai sensi dell'art. 2126 c.c. gli effetti del rapporto giornalistico per il tempo della sua esecuzione, trattandosi di nullità non derivante da illiceità della causa e dell'oggetto". La decisione è pienamente conforme ai principi di diritto ripetutamente affermati da questa Corte (n. 5370/98; 7020/00; n. 7461/02) ribaditi in una recente pronuncia, secondo cui l'esercizio di fatto delle mansioni "non comporta nullità del contratto per illiceità della causa e dell'oggetto e produce gli effetti previsti dall'art. 2126 c.c. per il tempo in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione, restando escluso che tra gli effetti fatti salvi rientri il diritto di continuare a rendere la prestazione o di pretenderne la esecuzione; di conseguenza, nel caso di accertamento della natura subordinata di un rapporto di lavoro giornalistico esercitato in mancanza di iscrizione nell'albo professionale ... il giudice deve limitarsi a riconoscere il diritto alle differenze retributive ai sensi dell'art. 2126 c.c., ma non può ordinare la riassunzione del lavoratore assumendone l'illegittimo licenziamento, atteso che nel contratto affetto da nullità per violazione di norma imperativa non è concepibile un negozio di licenziamento e non sono configurabili le conseguenze che la legge collega al recesso ingiustificato" (Cass. n. 27608 del 29/12/2006). Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 26 settembre - 5 dicembre 2007,n. 25300.

Milano 11/01/2008

Il potere disciplinare del datore di lavoro

  Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. La multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. Articolo 7 dello statuto dei lavoratori

La contestazione non può essere ripetuta.

Si deve  escludere che il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, lo possa esercitare una seconda volta per quegli stessi fatti, in quanto ormai consumato: essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva, nonché dei fatti non tempestivamente contestati o contestati ma non sanzionati per la globale valutazione, anche sotto il profilo psicologico, del comportamento del lavoratore e della gravità degli specifici episodi addebitati. Sentenza Cassazione del 30 gennaio 2018.  

Impugnazione della sanzione. Ferma restando la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio. Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione. Art 7 dello Statuto dei lavoratori