20/02/2023
La Corte di Appello di Potenza ha respinto la domanda di annullamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una addetta a mansioni di estetista con orario part-time pari a 24 ore settimanali, per l’esigenza di ridurre i costi di gestione e la necessità di dover procedere alla riorganizzazione dell'azienda.
La Corte di Appello, riformando la sentenza del tribunale, ha ritenuto sussistente la ragione organizzativa del licenziamento, avendo l’azienda dato prova del calo dei ricavi nell'anno con incidenza di circa il 10% sul fatturato complessivo, l'incremento dei costi del personale, le nuove assunzioni nel periodo precedente il licenziamento anche con l'esigenza di sopperire all'assenza della stessa lavoratrice, poi licenziata, che era assente per maternità. Per la Corte di Appello, inoltre, la scelta di licenziare quella lavoratrice rispetto ad altre, a parità di carichi di famiglia e di qualifica professionale, appariva corretta e rispettosa dei principi di buona fede e correttezza, a fronte del minor monte ore di lavoro svolto dalla stessa rispetto alle altre colleghe di lavoro.
Contro la sentenza, ha proposto ricorso in Cassazione la lavoratrice, lamentando che la Corte di Appello aveva omesso di considerare che il dato da valutare per verificare l'effettiva sopravvenuta congiuntura sfavorevole dell’azienda era da valutare con la comparazione degli utili ottenuti nei due anni e non già con la comparazione dei ricavi per lo stesso periodo. L'assunzione di tre lavoratrici, inoltre, ha spezzato il nesso di causalità tra l’assunta crisi economica dell’azienda e il licenziamento della lavoratrice.
La Cassazione ha dato ragione alla lavoratrice, ribadendo i principi giurisprudenziali che regolano la materia del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Per la Cassazione “In via generale, ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, occorre che vi sia “a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali - insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati - diretti ad incidere sulla struttura e sull'organizzazione dell'impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l'impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che trova giustificazione nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore.” Se il giudice dovesse accertare in concreto l'inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o per la pretestuosità della causale addotta.
Le ragioni poste a giustificazione del licenziamento possono essere anche “quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività”. Ma occorre sempre un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa.
Nel caso di specie, per la Cassazione, la valutazione del nesso di causalità tra esigenze di riorganizzazione del personale riferibili alla contrazione del fatturato e il licenziamento della lavoratrice data dalla Corte di Appello “non risulta coerente con l'assunzione di due lavoratrici […] effettuata a pochi mesi dal rientro della lavoratrice licenziata in azienda e che hanno inevitabilmente determinato l'incremento dei costi del personale” .
La decisione della Corte di Appello è stata così cassata e la causa è stata rinviata alla stessa Corte di Appello ma con composizione diversa per riesaminare nuovamente il caso applicando i principi giuridici affermati dalla Cassazione.
Pandora, la prima donna della mitologia greca che inaugura la discriminazione di genere
Narra un mito greco che la prima donna mandata sulla terra dagli dei fosse Pandora, e che fosse stata inviata per punire gli uomini della loro superbia. In un tempo lontanissimo, infatti, sulla terra esistevano solo esseri di sesso maschile, quando l’eroe Prometeo (colui che guarda avanti), amico degli uomini, volle portar loro il fuoco e quindi il progresso. Gli dei, irati per questo atto di disobbedienza, condannarono Prometeo ad una pena atroce e gli uomini ad aver bisogno delle donne. A Pandora gli dei avevano donato sia un bell’aspetto che un cuore menzognero ed un’indole ambigua. La prima donna era stata definita “un male così bello” che nessuno le poteva sfuggire. Ora, il fratello di Prometeo, che si chiamava Epimeteo, un giovane impulsivo che non pensava alle conseguenze delle sue azioni ( il suo nome significa “vedo dopo”), si invaghì di Pandora e la portò nella sua casa. Alla donna era stato detto che non avrebbe dovuto mai aprire un certo vaso: quale migliore raccomandazione per cedere alla tentazione di aprirlo? Il vaso venne aperto. Fu così che tutti i mali, prima sconosciuti agli esseri umani, si diffusero sulla terra. Ma, per fortuna, sul fondo del vaso rimase attaccata solo la speranza, unica consolazione per l’umanità.
Il mito greco con questa narrazione ci fornisce la spiegazione sulle ragioni della differenza di genere attribuendo la radice di tutti i mali del mondo alla donna. Nella mitologia greca e nei secoli successivi, la posizione della donna è stata sempre connotata da emarginazione e discriminazione perché nel pensiero filosofico le si è attribuita la causa di tutti i mali del mondo. La donna nella nostra storia meno recente non ha mai avuto ruoli, tranne rarissimi casi. A questa concezione negativa della mitologia greca fa da parallelo, sulla riva opposta del mare Egeo, anche la narrazione del libro della genesi con la figura di Eva che, con il suo comportamento, ha causato la sua definitiva cacciata, insieme a quella di Adamo, dal paradiso terrestre. La cultura occidentale moderna affonda le sue radici nella storia e nei valori greco-giudaico-cristiani. Ben si comprende, quindi, la dura lotta delle donne per conquistare nell'epoca moderna la parità di genere sul lavoro. Pandora ed Eva, anche ai giorni nostri, costituiscono il subconscio e la subcultura con cui occorre confrontarsi nella lotta quotidiana per conquistare la parità di genere nella società, nelle istituzioni e anche sul luogo di lavoro.
Divieto di discriminazioneè vietata la discriminazione fondata sul sesso avente ad oggetto:
l'accesso al lavoro, il trattamento retributivo, i premi, la qualifica, le mansioni, la carriera e ogni altro aspetto del trattamento economico e normativo.
la discriminazione può essere diretta o indiretta. La discriminazione indiretta si ha quando un comportamento o una condotta che appaiono essere neutri in realtà discriminano in ragione del sesso.
Dimissioni e maternità
La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.