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INGE MORATH: UNA VITA DA FOTOGRAFA

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18/10/2020

Al museo diocesano di Milano fino al primo novembre 2020

150 scatti di Inge Morath, tutti rigorosamente in bianco e nero, sono esposti al Museo Diocesano di Milano e vi resteranno fino al 1° Novembre. Si tratta di una vasta retrospettiva, ben allestita ed arricchita da documenti originali, dedicata alla prima donna fotografa ammessa all'Agenzia Magnum, fondata nel 1947, da Robert Capa, Henry Cartier-Bresson e David Seymour, e nella quale entrò a far parte prima solo come redattrice e poi a pieno titolo nel 1955.

Nata a Graz, in Austria, nel 1923 e scomparsa a New York nel 2002 dopo una vita intensa e straordinaria, Inge Morath, poliglotta, esuberante, curiosa e determinata, collaboratrice di riviste quali "LIFE", "Paris-Match", "Vogue", fu una instancabile viaggiatrice, sempre pronta "con la valigia in mano" a documentare la realtà in giro per il mondo, cogliendo ogni aspetto di essa in modo schietto, con naturalezza e sensibilità. Al centro della sua attenzione, Inge pose sempre le persone, sia che fossero persone comuni o personaggi famosi perché come lei stessa scrisse:"I am more attracted to the human element than the abstract". La mostra al Museo Diocesano presenta alcuni reportage dei suoi molti viaggi in Europa, Russia, Medio Oriente, Cina e naturalmente Stati Uniti, dove visse dopo il matrimonio con il drammaturgo Arthur Miller nel 1962.

Un ampio spazio è stato dato al ritratto, un tema ricorrente nella carriera della Morath. Proprio questa sezione con la serie di ritratti di Pablo Picasso, Philip Roth, Allen Ginsberg, Pablo Neruda, Audrey Hepburn, dello stesso Miller e di altri ancora, è una delle più belle ed interessanti,. Le foto, realizzate tra gli anni '50 e '60, esprimono un rapporto intenso e profondo con i protagonisti, immortalati in posa, seri ed assorti, o più spontanei in un momento di quotidianità. Celebre l'immagine di una splendida Marilyn Monroe che muove passi di danza all'ombra di un albero sul set del film "Gli Spostati" del 1960, anno in cui Inge Morath conobbe Arthur Miller che era ancora legato all'attrice.

Un'altra sezione ha attirato la mia attenzione ed è quella dedicata ai ritratti "in maschera". Nata dalla collaborazione con il disegnatore Saul Steinberg, la serie mostra diverse foto tutte ambientate a New York negli anni '60 che ritraggono persone con maschere ed abiti adatti alle maschere stesse. Le foto sono curiose ed ironiche e penso sia vero che in fondo spesso tutti noi indossiamo delle maschere, a seconda dei luoghi e delle situazioni in cui ci troviamo, rivelando atteggiamenti e comportamenti diversi.

C'è una foto molto famosa del 1957 di Inge Morath che è divenuta una sorta di icona ed è quella del lama che sporge dal finestrino di un'auto vicino a Times Square a New York. La foto era parte di un progetto dedicato ad animali impiegati nei film.

Anche l'Italia è rappresentata in mostra con le foto dedicate a Venezia e realizzate nel 1955. Qui Inge Morath ha scelto di immortalare momenti di vita quotidiana in ambienti molto popolari, poco visitati e molto genuini della città lagunare dove appaiono evidenti povertà ed arretratezza. Una scelta legittima che rispecchia certamente la realtà del tempo, tuttavia mi sarebbe piaciuto vedere in mostra anche qualche foto con angoli e scorci diversi, magari ripresi nella luce della laguna o che mettessero in evidenza la meraviglia di una città unica al mondo quale è Venezia.

Al di là della pura tecnica fotografica, penso che una foto dovrebbe trasmettere un'emozione e saper coinvolgere l'osservatore facendolo partecipe dell'attimo immortalato. Inge Morath ha sempre     studiato ed approfondito le lingue e le culture diverse incontrate dei luoghi che visitava nei suoi viaggi per poter esprimere al meglio la sua vicinanza emotiva e trasmetterla attraverso le sue immagini. Sicuramente questo è uno dei suoi meriti. Lei stessa scrisse: " I loved the people. They let me photograph them, but also they wanted me to listen to them, to tell me what they knew, so that we told their story together".

 Questa allestita al Museo Diocesano di Milano è certo una mostra per appassionati di fotografia, ma è soprattutto un omaggio ad una donna giornalista e fotografa, che fece del suo lavoro la sua passione. La mostra è anche un giusto tributo al ruolo, al valore, all'intelligenza ed alle tante abilità delle donne. Di tutte le donne.

 Graziella Colombo

L'articolo è pubblicato sulla rivista New Art Examiner del mese di settembre-ottobre 2020

 

 

 

 

 

 

 

La donna nella Grecia classica e dintorni

Da Ippocrate in poi, molte teorie venivano formulate dalla medicina greca a proposito della capacità riproduttiva della donna, ed alcune erano estremamente fantasiose.

Si pensava infatti che l’utero “vagasse” per il corpo femminile se la donna non aveva rapporti e che quindi l’unico rimedio fosse il matrimonio. 

Nel frattempo, alcuni medici consigliavano di legare la donna su una scala a testa in giù e scuoterla finché l’utero non fosse ritornato nella sua sede naturale; oppure, se era arrivato al cervello, si cercava di farlo scendere facendo annusare alla malcapitata sostanze maleodoranti.  E così via.

La donna nubile era considerata con malevolenza all’interno della famiglia, in cui non aveva un ruolo preciso; solo sposandosi, acquisiva uno status sociale consono.

 Anche il pensiero filosofico non era da meno riguardo alla differenza di genere: lo stesso Platone (considerato impropriamente paladino della parità tra maschio e femmina) riteneva che, per la teoria della reincarnazione, se un essere di sesso maschile operava male nella vita si sarebbe ritrovato dopo la morte ingabbiato in un corpo femminile. 

 Ad Atene, pur essendo il matrimonio monogamico, l’uomo poteva avere ben tre donne: la moglie, che gli assicurava la legittimità dei figli, una concubina ed una etera, che lo accompagnava nei banchetti pubblici ed era in grado di conversare di svariati argomenti.  La moglie, anche se non era relegata in casa, non aveva occasione di intessere relazioni sociali, ma era isolata nell’ambito della famiglia, priva di una vera educazione e di possibilità reali di socializzazione.

Anche ai giorni nostri, le donne devono fronteggiare sul lavoro il mobbing e la discriminazione di genere. Non è difficile comprendere perché ciò possa avvenire, considerati anche questi precedenti storici dei nostri antenati scientifici, letterari e filosofici che, pur nella loro cultura, hanno sempre attribuito alla donna un ruolo marginale e di sottomissione.

 

Nella foto: vaso greco che raffigura la nascita di Bacco dalla coscia di Zeus; aspirazione all'autosufficienza maschile. Opera esposta nel museo nazionale archeologico di Taranto.