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K – Un trittico sul potere

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06/09/2020

Alla Fondazione Prada di Milano fino al 25 ottobre 2020

 

   Nei romanzi che costituiscono la Trilogia della solitudine (Il processo, America, il Castello), K è l’iniziale dei nomi dei protagonisti, altrettanti alter ego dell’autore, lo scrittore ceco Franz Kafka.

I romanzi, incompiuti, sono attraversati da un profondo senso di solitudine e di angoscia, dall’idea dell’uomo schiacciato da un’opprimente burocrazia, leit-motiv di queste storie, insieme al senso di colpa, che non può essere espiata, perché non può essere conosciuta. Il protagonista del Processo, infatti, ignora di che cosa venga accusato; oppure la sua colpa è del tutto irrilevante rispetto al castigo inferto (America); l’agrimensore K. si consuma inutilmente nell’attesa di poter essere ammesso alla fortezza (Il Castello) senza riuscirci per una serie di assurdi passaggi burocratici.

La Fondazione Prada di Milano celebra il genio dello scrittore con una mostra ispirata alla Trilogia e concepita come un trittico che comprende un film, un’opera sonora ed un’installazione.

Il film di Orson Welles, il Processo, con un inquietante Anthony Perkins protagonista e il regista stesso nel ruolo dell’avvocato, è una potente rappresentazione in bianco e nero dell’uomo qualunque preso negli ingranaggi del potere giudiziario: personaggi enigmatici circondano K., che si aggira in ambienti desolati o sovraffollati (il Tribunale), fino alla tragica conclusione. La razionalità umana scompare nell’universo impenetrabile del Tribunale e la degradazione di ogni norma è visibile nello sfacelo degli ambienti, nel disordine e nella sporcizia.

Le immagini del film mi accompagnano fino ad un altro grande ambiente della Fondazione, simile ad una fortezza, dove i Tangerine Dream, una band tedesca, rievocano le atmosfere del Castello attraverso una magnetica musica elettronica.

Oggi, in tempi di lock down per la pandemia, ripenso a ciò che un personaggio del romanzo dice all’agrimensore K., che non capisce nulla di quel che deve fare per entrare al Castello. Tutto è concepito perché lui non lo capisca “Dovunque lei vada sia sempre consapevole di una cosa, e cioè che Lei è nell’ignoranza più totale, e sia prudente “. Ho anch’io provato questa sensazione, di non capire ciò che stava succedendo intorno a me, e non solo a causa delle informazioni degli esperti e del governo, molte volte contradditorie o errate, ma soprattutto per il clima di angosciosa attesa: ci sarà un rimedio a questo male? Arriverà sotto forma di un farmaco? Di un vaccino? Mi sono sentita come K., impotente ma ligia alle regole che non sempre comprendevo.

E infine, per ritornare alla mostra, il “colpo di teatro” finale: la ricostruzione visionaria del “gran teatro dell’Oklahoma”, citato nel terzo romanzo, America, dove Karl Rossmann, un sedicenne accusato di aver sedotto una cameriera e perciò cacciato di casa dal padre, viene mandato in America per cancellare la sua colpa. Nel Paese che sembra incarnare l’idea stessa di una libertà sconfinata, Karl perde i suoi sogni, si smarrisce. L’installazione di Martin Kippenberger “The happy end of Franz Kafka’s Amerika” si rifà alla parte del romanzo in cui il protagonista cerca un’occupazione nel “teatro più grande del mondo”. L’artista tedesco ricrea un campo da calcio, dove inserisce oltre 40 combinazioni di tavole e sedie, elementi di design, vintage e da mercatino delle pulci. Lo scopo è di rievocare i colloqui di lavori che si potrebbero svolgere attorno a quei tavoli. Il titolo dell’installazione si richiama a un happy end, raro nei romanzi di Kafka. In realtà, lo scrittore descrive l’America non come terra di opportunità (come sperava il giovane Rossmann) ma come un mondo dominato dallo sfruttamento e dalla sopraffazione.

Come fa notare il curatore Udo Kittelmann, la mostra può essere considerata una narrazione dei “moventi più oscuri della vita umana”, come pensava Walter Benjamin riferendosi all’opera di Kafka. I tre elementi del trittico, paragonabili ad una pala d’altare, in cui la tavola centrale è costituita da America, e gli altri due elementi formano i pannelli laterali, definiscono una visione delle inquietudini della vita. In fondo, come ha scritto Kafka,“…l’Inconcepibile è inconcepibile, e questo si sapeva”.

Giugno 2020                                             Liviana Martin

P. s L'articolo è pubblicato su New art examiner del mese di luglio agosto 2020

 

Pandora, la prima donna della mitologia greca che inaugura la discriminazione di genere

 Narra un mito greco che la prima donna mandata sulla terra dagli dei fosse Pandora, e che fosse stata inviata per punire gli uomini della loro superbia. In un tempo lontanissimo, infatti, sulla terra esistevano solo esseri di sesso maschile, quando l’eroe Prometeo (colui che guarda avanti), amico degli uomini, volle portar loro il fuoco e quindi il progresso.  Gli dei, irati per questo atto di disobbedienza, condannarono Prometeo ad una pena atroce e gli uomini ad aver bisogno delle donne.  A Pandora gli dei avevano donato sia un bell’aspetto che un cuore menzognero ed un’indole ambigua. La prima donna era stata definita “un male così bello” che nessuno le poteva sfuggire.   Ora, il fratello di Prometeo,  che si chiamava Epimeteo, un giovane impulsivo che non pensava alle conseguenze delle sue azioni ( il suo nome significa “vedo dopo”), si invaghì di Pandora e la portò nella sua casa. Alla donna era stato detto che non avrebbe dovuto mai aprire un certo vaso: quale migliore raccomandazione per cedere alla tentazione di aprirlo? Il vaso venne aperto. Fu così che tutti i mali, prima sconosciuti agli esseri umani, si diffusero sulla terra. Ma, per fortuna, sul fondo del vaso rimase attaccata solo la speranza, unica consolazione per l’umanità. 

 Il mito greco con questa narrazione ci fornisce la spiegazione sulle ragioni della differenza di genere attribuendo la radice di tutti i mali del mondo alla donna. Nella mitologia greca e nei secoli successivi, la posizione della donna è stata sempre connotata da emarginazione e discriminazione perché nel pensiero filosofico le si è attribuita la causa di tutti i mali del mondo. La donna nella nostra storia meno recente non ha mai avuto ruoli, tranne rarissimi casi. A questa concezione negativa della mitologia greca fa da parallelo, sulla riva opposta del mare Egeo, anche la narrazione del libro della genesi con la figura di Eva che, con il suo comportamento, ha causato la sua definitiva cacciata, insieme a quella di Adamo, dal paradiso terrestre. La cultura occidentale moderna affonda le sue radici nella storia e nei valori greco-giudaico-cristiani. Ben si comprende, quindi, la dura lotta delle donne per conquistare nell'epoca moderna la parità di genere sul lavoro. Pandora ed Eva, anche ai giorni nostri, costituiscono il subconscio e la subcultura con cui occorre confrontarsi nella lotta quotidiana per conquistare la parità di genere nella società, nelle istituzioni e anche sul luogo di lavoro.  

 

Divieto di discriminazione
è vietata la discriminazione fondata sul sesso avente ad oggetto:
l'accesso al lavoro, il trattamento retributivo, i premi, la qualifica,  le mansioni, la carriera e ogni altro aspetto del trattamento economico e normativo.
la discriminazione può essere diretta o indiretta. La discriminazione indiretta si ha quando un comportamento o una condotta che appaiono essere neutri in realtà discriminano in ragione del sesso.

 Dimissioni e maternità

La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.