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Georges de La Tour: luci e ombre di un pittore del Seicento

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06/09/2020

Palazzo reale, Milano, 7 febbraio/27 settembre 2020

           

 

      
        

             

La prima mostra in Italia dedicata a Georges de La Tour: 15 opere esposte su 40 di sicura attribuzione,a confronto con maestri del suo tempo, quali Gerrit van Honthorst, Paulus Bor, Trophime Bigot, Frans Hals.

 Immaginiamo che una stanza buia sia rischiarata dalla fioca luce di una candela e che dal buio si riescano a decifrare, poco per volta, i particolari di un volto, di una mano, di un oggetto di uso quotidiano. La nostra vista si sofferma su ciò che può percepire, la nostra mente forse ci sospinge ad andare più in là, oltre il visibile, nel cuore delle tenebre. È ciò che ci sfida a fare Georges de La Tour, colui che fu soprannominato “pittore della luce”, artista francese del Seicento, riscoperto dalla critica dopo un lungo silenzio solo agli inizi del 1900.

 Molti interrogativi circondano ancora la sua vita e le sue opere. Nasce in Lorena nel 1593 da un’umile famiglia di fornai, acquisisce il titolo nobiliare grazie al matrimonio con Diane Le Nerf, erede di una ricca e nobile famiglia lorenese, che lo introduce nell’alta società del tempo. Sempre più stimato per i suoi quadri dai contemporanei, nel 1639 diventa “pittore del re” di Francia Luigi XIII.

Di lui conosciamo, dagli atti giudiziari dell’epoca, il carattere: arrogante, violento, spadroneggia come un signorotto di provincia con la sua torma di cani. Vive a Luneville e, da quanto ci raccontano le cronache, i paesani non lo sopportano: è ricco, possiede terre e beni ma, per esenzione ducale, non paga le tasse, e caccia a bastonate chi osa toccare ciò che possiede.

Se dovessimo basarci su queste note biografiche, ci aspetteremmo delle opere violente e vitalistiche, invece, soprattutto quelle più mature, rivelano una tenerezza straordinaria nel ritrarre neonati, fanciulli, madri, sante in meditazione, con un atteggiamento quasi metafisico che trasfigura gli esseri umani in simboli. Come notava A.Malraux, La Tour è il pittore del silenzio, dell’incantesimo, della notte che si stende sul mondo, egli interpreta “la parte serena delle tenebre”. Se di Caravaggio assume alcuni temi e personaggi (il baro, la buona ventura), ma come se fossero un’eco lontana, l’immobilità delle sue opere fa venire alla mente piuttosto Paolo Uccello o Giotto. Il suo è un teatro di personaggi simili a statue, inseriti in uno spazio piatto, indefinito.

Le prime opere, frutto di una sperimentazione giovanile, sono ambientate alla luce diurna. Nella “Rissa tra musici mendicanti” l’artista ci mette di fronte, con crudo realismo, ad un violento alterco tra musici: mentre i due litiganti si fronteggiano, una vecchia, con il suo urlo muto, ci scarica addosso tutta la sua infelicità e ci costringe a guardarla.

Si tratta di una scena di genere, diffusa sia in Italia (con Caravaggio) che nella pittura fiamminga (Brueghel il vecchio e Terbrugghen), ma de la Tour la interpreta nella sua particolare maniera, mostrando distacco e una certa ironia. Distacco che si ripresenta anche nel monumentale “Suonatore di ghironda con cane”, anche questo soggetto tipico dell’arte francese e fiamminga. Ma anche qui l’artista manifesta la sua originalità: il vecchio è ripreso a figura intera, con una prospettiva dal basso verso l’alto. Non proviamo particolare partecipazione per questo anziano suonatore, che ci appare freddo e scostante, mentre, forse, l’unica nota di tenerezza è data dal cane accucciato ai suoi piedi, che ci guarda con aria implorante. Da notare, in questa come in altre opere, le mani dei personaggi: vecchie e rugose, o giovanili e quasi attraversate dalla luce, ad ogni modo sono mani che parlano. Non a caso l’artista era figlio e parente di fornai, che con le mani si procuravano da vivere.

Nelle opere della maturità, la sua pittura cambia: la luce diventa sempre più fioca, le scene, rischiarate da una debole fiamma di candela, diventano dei “notturni”. Mentre l’illuminazione nei quadri di Caravaggio è data da uno spiraglio, uno squarcio luminoso che ci fa intravvedere i personaggi staccandoli dal fondo oscuro, il lume dell’artista francese situa i protagonisti dell’opera in un’atmosfera senza tempo. “La fiamma di una candela, dice G.Bachelard, ci costringe ad immaginare, è essa stessa immagine di solitudine, di calma, di pace”. E il suo slancio verticale invita l’anima ad elevarsi verso Dio.

Uno dei capolavori in mostra è la “Maddalena penitente”, di cui dipinse almeno quattro versioni. In questa, proveniente da Washington, la santa, di cui si scorge il profilo e una parte del busto, medita sfiorando un teschio (la “vanitas” delle cose), riflesso in uno specchio. La donna, abbandonata la sua precedente vita dissoluta di peccatrice, è qui raffigurata come una penitente, senza gioielli o altri ornamenti mondani. I beni materiali, il frastuono della vita, sono ormai scomparsi: Maddalena è sola di fronte a se stessa.

Un’altra sorprendente figura di donna si ritrova in “Giobbe deriso dalla moglie”. Il quadro si riferisce all’episodio biblico in cui Giobbe viene disprezzato e deriso dalla moglie per aver sopportato con pazienza infinita le prove a cui Dio lo aveva sottoposto. Il contrasto tra i due non potrebbe essere più evidente, sia nella postura che nella resa cromatica: come una gigantessa, la donna incombe su Giobbe, raffigurato nella sua nudità come un vecchio magro e piagato. La rappresentazione della figura femminile è quasi architettonica, un arco che si racchiude sul vecchio. Il colore rosso del suo vestito contrasta con la tavolozza cromatica dalle tinte marroni con cui viene dipinto Giobbe.

Ed infine, a segnare l’estrema rarefazione della pittura dell’artista, osserviamo “San Giovanni nel deserto”, opera dove prevale il monocromo, sparisce ogni idea di spazio e di movimento: resta nella memoria l’immagine di un eremita chino su un agnello a cui porge un filo d’erba.

 L’impressione che si ricava dalla mostra, molto interessante, anche se priva purtroppo di capolavori quali “San Giuseppe falegname” o “Il neonato”, è quella di un artista modernissimo, che è stato paragonato a Cezanne o Picasso, il quale, però, a differenza di molta arte contemporanea, ci parla di valori universali, di morale e di spiritualità.

Maggio 2020   Liviana Martin

P.s L'articolo in lingua inglese è pubblicato  sulla rivista New Art Examiner del numero di maggio-giugno 2020.

          

     
        

              Rissa tra musici mendicanti

Pandora, la prima donna della mitologia greca che inaugura la discriminazione di genere

 Narra un mito greco che la prima donna mandata sulla terra dagli dei fosse Pandora, e che fosse stata inviata per punire gli uomini della loro superbia. In un tempo lontanissimo, infatti, sulla terra esistevano solo esseri di sesso maschile, quando l’eroe Prometeo (colui che guarda avanti), amico degli uomini, volle portar loro il fuoco e quindi il progresso.  Gli dei, irati per questo atto di disobbedienza, condannarono Prometeo ad una pena atroce e gli uomini ad aver bisogno delle donne.  A Pandora gli dei avevano donato sia un bell’aspetto che un cuore menzognero ed un’indole ambigua. La prima donna era stata definita “un male così bello” che nessuno le poteva sfuggire.   Ora, il fratello di Prometeo,  che si chiamava Epimeteo, un giovane impulsivo che non pensava alle conseguenze delle sue azioni ( il suo nome significa “vedo dopo”), si invaghì di Pandora e la portò nella sua casa. Alla donna era stato detto che non avrebbe dovuto mai aprire un certo vaso: quale migliore raccomandazione per cedere alla tentazione di aprirlo? Il vaso venne aperto. Fu così che tutti i mali, prima sconosciuti agli esseri umani, si diffusero sulla terra. Ma, per fortuna, sul fondo del vaso rimase attaccata solo la speranza, unica consolazione per l’umanità. 

 Il mito greco con questa narrazione ci fornisce la spiegazione sulle ragioni della differenza di genere attribuendo la radice di tutti i mali del mondo alla donna. Nella mitologia greca e nei secoli successivi, la posizione della donna è stata sempre connotata da emarginazione e discriminazione perché nel pensiero filosofico le si è attribuita la causa di tutti i mali del mondo. La donna nella nostra storia meno recente non ha mai avuto ruoli, tranne rarissimi casi. A questa concezione negativa della mitologia greca fa da parallelo, sulla riva opposta del mare Egeo, anche la narrazione del libro della genesi con la figura di Eva che, con il suo comportamento, ha causato la sua definitiva cacciata, insieme a quella di Adamo, dal paradiso terrestre. La cultura occidentale moderna affonda le sue radici nella storia e nei valori greco-giudaico-cristiani. Ben si comprende, quindi, la dura lotta delle donne per conquistare nell'epoca moderna la parità di genere sul lavoro. Pandora ed Eva, anche ai giorni nostri, costituiscono il subconscio e la subcultura con cui occorre confrontarsi nella lotta quotidiana per conquistare la parità di genere nella società, nelle istituzioni e anche sul luogo di lavoro.  

 

Divieto di discriminazione
è vietata la discriminazione fondata sul sesso avente ad oggetto:
l'accesso al lavoro, il trattamento retributivo, i premi, la qualifica,  le mansioni, la carriera e ogni altro aspetto del trattamento economico e normativo.
la discriminazione può essere diretta o indiretta. La discriminazione indiretta si ha quando un comportamento o una condotta che appaiono essere neutri in realtà discriminano in ragione del sesso.

 Dimissioni e maternità

La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.