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Il licenziamento illegittimo è anche ritorsivo se vi sono prove sia pur semplicemente indiziarie

Con la ritorsione: diritto a una tutela piena con la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento di tutti i danni con i contributi previdenziali

Un lavoratore, assunto alle dipendenze di una società come operaio specializzato con mansioni di incisore pantografista aveva ricevuto, al momento del suo rientro in servizio dopo una lunga assenza del malattia una lettera di licenziamento motivata dalla scelta organizzativa di chiudere il settore produttivo della bigiotteria, argenteria e ottone per il calo di commesse riguardante tale settore, con conseguente soppressione della posizione e della funzione ricoperta dal lavoratore in azienda e impossibilità di ricollocamento in altre mansioni uguali o equivalenti.
La Corte di appello osservava come la documentazione prodotta e la prova testimoniale avessero dimostrato l’inesistenza di un vero e proprio reparto di lavorazione dei materiali diversi dall’oro, la mancata adibizione esclusiva del reclamante a tali lavorazioni, il carattere marginale delle stesse rispetto al complesso della produzione aziendale, le maggiori esperienze e conoscenze del reclamante nel settore dell’incisione dell’oro rispetto a quelle dell’altro dipendente rimasto in servizio nonché l’assunzione, successiva al licenziamento, di una nuova dipendente che, nonostante il formale inquadramento come impiegata, di fatto era stata addetta anche alle lavorazioni dell’oro. A fronte di tale quadro probatorio, non si era in presenza di un’ipotesi di ristrutturazione aziendale, ma di un’ipotesi di mera riduzione delle mansioni del lavoratore relative alla cessazione di alcune lavorazioni, situazione peraltro inseritasi nel contesto di un andamento positivo del complessivo fatturato aziendale negli anni precedenti al recesso. Neppure era giustificata la scelta di licenziare quel dipendente in luogo di altro collega, meno anziano in servizio e con minori capacità e competenze.

La corte di appello ha dichiarato il licenziamento non solo illegittimo ma anche discriminatorio perché in realtà è stato intimato a causa delle assenze per malattia.

Contro la sentenza è stato proposto ricorso in Cassazione. Il ricorso è stato respinto. La cassazione ha ritenuto corretto il ragionamento dei giudici della Corte di Appello perché essi hanno escluso, preliminarmente, la sussistenza in concreto del giustificato motivo oggettivo addotto da parte datoriale a fondamento del recesso. Hanno poi posto in relazione tra loro gli elementi indiziari acquisiti al giudizio, per giungere alla conclusione finale che dal punto di vista oggettivo e soggettivo, il licenziamento “non presentava altra spiegazione che il collegamento causale con l’assenza per malattia.”

La sentenza della Corte di Appello, in applicazione dell’art. 18 stat. lav., comma 1 come modificato dalla L. n. 92 del 2012, condannava la società  a reintegrare il lavoratore nel suo posto e a risarcirgli il danno in misura pari alle retribuzioni dal giorno di licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma mensilmente rivalutata dalle singole scadenze al saldo e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 23583/19; depositata il 23 settembre.

Nella foto: uno degli Oro ellenistici di Taranto dal Museo Archeologico Nazionale

 

 

 

 

 

 

 

La donna nella Grecia classica e dintorni

Da Ippocrate in poi, molte teorie venivano formulate dalla medicina greca a proposito della capacità riproduttiva della donna, ed alcune erano estremamente fantasiose.

Si pensava infatti che l’utero “vagasse” per il corpo femminile se la donna non aveva rapporti e che quindi l’unico rimedio fosse il matrimonio. 

Nel frattempo, alcuni medici consigliavano di legare la donna su una scala a testa in giù e scuoterla finché l’utero non fosse ritornato nella sua sede naturale; oppure, se era arrivato al cervello, si cercava di farlo scendere facendo annusare alla malcapitata sostanze maleodoranti.  E così via.

La donna nubile era considerata con malevolenza all’interno della famiglia, in cui non aveva un ruolo preciso; solo sposandosi, acquisiva uno status sociale consono.

 Anche il pensiero filosofico non era da meno riguardo alla differenza di genere: lo stesso Platone (considerato impropriamente paladino della parità tra maschio e femmina) riteneva che, per la teoria della reincarnazione, se un essere di sesso maschile operava male nella vita si sarebbe ritrovato dopo la morte ingabbiato in un corpo femminile. 

 Ad Atene, pur essendo il matrimonio monogamico, l’uomo poteva avere ben tre donne: la moglie, che gli assicurava la legittimità dei figli, una concubina ed una etera, che lo accompagnava nei banchetti pubblici ed era in grado di conversare di svariati argomenti.  La moglie, anche se non era relegata in casa, non aveva occasione di intessere relazioni sociali, ma era isolata nell’ambito della famiglia, priva di una vera educazione e di possibilità reali di socializzazione.

Anche ai giorni nostri, le donne devono fronteggiare sul lavoro il mobbing e la discriminazione di genere. Non è difficile comprendere perché ciò possa avvenire, considerati anche questi precedenti storici dei nostri antenati scientifici, letterari e filosofici che, pur nella loro cultura, hanno sempre attribuito alla donna un ruolo marginale e di sottomissione.

 

Nella foto: vaso greco che raffigura la nascita di Bacco dalla coscia di Zeus; aspirazione all'autosufficienza maschile. Opera esposta nel museo nazionale archeologico di Taranto.