31/12/2019
Il riconoscimento dell'equo premio previsto dal R.D. n. 1127 del 1939, art. 23, comma 2, non spetta al lavoratore inventore nel caso in cui l'attività di invenzione costituisca l'oggetto precipuo delle mansioni.
La Corte di Cassazione a proposito di invenzione, per ultimo e tra le tante pronunce, ha così sintetizzato la normativa vigente.
“Il R.D. n. 1127 del 1939, art. 23, distingue l'ipotesi di cui al comma 1, secondo cui, quando l'invenzione "è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro" (la c.d. invenzione di servizio), da quella di cui al comma 2, in base al quale "se non è prevista una retribuzione in compenso della attività inventiva, e l'invenzione è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore... spetta un equopremio per la determinazione del quale si terrà conto della importanza dell'invenzione" (c.d."invenzione d'azienda").
La norma si spiega considerando che l'invenzione è realizzata dal dipendente nell'ambito di strutture organizzate dal datore di lavoro e quindi si impone l'esigenza di contemperare due distinti interessi:
quello del lavoratore che deve conseguire un concreto riconoscimento del proprio apporto e quello dell'imprenditore volto ad acquisire i risultati di impegni organizzativi e di investimenti economici anche di rilevante entità. Si comprende quindi che, per attuare tale contemperamento, al diritto riconosciuto al datore di lavoro di trarre profitto dall'invenzione (R.D. n. 1127 del 1939, art. 1) deve corrispondere un sicuro vantaggio per il lavoratore, che si esplica o con l'erogazione di una specifica retribuzione o con l'erogazione di un equo premio, istituti che, pur essendo distinti e diversi hanno entrambi la funzione esclusiva di compensare il risultato inventivo conseguito (vedi Cass. 5 novembre 1997 n. 10851).
Detto vantaggio può essere già stato previsto dalle parti; ed infatti ove queste si accordino nel senso che oggetto dalla prestazione lavorativa è l'invenzione, la retribuzione pattuita sarà necessariamente compensativa dell'invenzione. In tal caso, il risultato inventivo potrà esservi o meno, ma, laddove si verifichi, la retribuzione stabilita vale già a compensarlo, perchè è sinallagmatica di tutte le utilità che potranno scaturire, dal momento che in tal senso si è espressa la volontà dalle parti, onde non vi è spazio per l'ulteriore compenso costituito dall'equopremio.
Diversamente, nell'ipotesi della c.d. invenzione d'azienda, la prestazione del dipendente non consiste nel perseguimento di un risultato inventivo, sicchè il conseguimento di questo non rientra nell'oggetto dell'attività dovuta, anche se resta pur. sempre collegata a questa stessa attività.
Questa Corte, in numerose pronunce, (vedi, fra le tante, Cass. 21 marzo 2011 n. 6367), in coerenza con la prevalente opinione dottrinaria formatasi sul tema dibattuto, ha rimarcato che, a parte l'ammissibilità, in via di principio, di forme o comunque di voci o componenti retributive legate al risultato, la previsione dell'art. 23, comma 1 rispetto a quella del comma 2, va individuata proprio nel fatto che oggetto del contratto sia l'attività inventiva, cioè il particolare impegno per raggiungere un risultato prefigurato dalle parti, dotato dei requisiti della brevettabilità stabiliti dalla legge, e che, a tale scopo sia prevista una retribuzione.” Cassazione civile sez. lav. 25/06/2014 n.14371.
In poche parole: chi è stato assunto per fare l'Archimede non ha diritto all'equo premio perchè inventare è il suo obbligo contrattuale.
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