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Accusata di incitare i suoi dipendenti a bere, Pernod Ricard respinge l'accusa

Tre dipendenti della società in Francia affermano di essere diventati alcolisti perché incitati dai superiori a bere per incrementare le vendite

I dipendenti spronati dalla direzione aziendale a bere liquori sul lavoro. L'informazione potrebbe essere considerata come uno scherzo, pubblicizzata per  ridere ma non è cosa che fa ridere i lavoratori, addetti alle vendite del gruppo specializzato nel commercio di vini e alcolici, che affermano di essere diventati alcolisti perchè incitati dai loro superiori a bere, "per dare l'esempio" e incrementare le vendite.
Nei bar, nelle discoteche e nelle feste questi lavoratori dicono di avere avuto a disposizione un budget  per offrire dei bicchieri gratis ai clienti; si beveva insieme, dipendenti e clienti, incoraggiati in questa pratica dai capi gerarchici dell'azienda. I lavoratori hanno convenuto la società avanti il tribunale francese per chiederle il risarcimento dei danni. Uno di essi afferma di essere rimasto ubriaco fradicio durante una manifestazione vinicola, un altro ex dipendente afferma di essere stato costretto, per ragioni di lavoro, a bere fino a 40 Ricard al giorno in occasione delle manifestazioni alle quali doveva partecipare. Uno dei ricorrenti in tribunale ricorda che quando qualche dipendente si rifiutava di bere, il capo lo rimproverava aspramente dicendo "non ti piacciono i prodotti che vendi?"
Il gruppo Pernod Ricard ha respinto l'accusa e ha negato l'esistenza di una politica di incitamento alla consumazione di alcol tra i suoi dipendenti addetti alla commercializzazione di vini e alcolici. L'azienda, che è il numero due mondiale nel settore dei vini e degli alcolici, ha assicurato in un comunicato che non esistono direttive interne date agli addetti alle vendite per indurli a bere nell'espletamento delle loro mansioni. Il gruppo ha anche annunciato di aver creato un numero verde anonimo per raccogliere le testimonianze dei collaboratori.

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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di caritàPer questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo