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Elemento dimensionale della cooperativa: devono essere utilmente conteggiati anche i soci lavoratori

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30/09/2019

La Cassazione cambia il suo precedente indirizzo giurisprudenziale

Un lavoratore dipendente di una cooperativa impugna il licenziamento. Il tribunale e la Corte di appello ritenendo che la cooperativa occupasse meno di 16 addetti gli ha riconosciuto il solo diritto ad ottenere il risarcimento dei danni nella misura di 4 mensilità senza la reintegrazione nel posto di lavoro.  Nel conteggio del numero di dipendenti ha ritenuto che non dovessero essere utilmente conteggiati i soci lavoratori della cooperativa anche se con rapporto di lavoro subordinato. Se questi soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato fossero stati conteggiati positivamente, il lavoratore avrebbe avuto la tutela prevista dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori: reintegrazione nel posto di lavoro con un risarcimento fino a 12 mesi di retribuzione o solo il risarcimento da 12 a 24 mensilità di retribuzione.

Il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione lamentando la erroneità in diritto della decisione dei giudici di merito.

La Corte di Cassazione ha integralmente accolto questa impugnazione ed ha affermato che

“"In una società cooperativa, anche i soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato devono essere computati ai fini del requisito dimensionale per l'applicazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro: con la conseguenza della fruibilità anche dai lavoratori dipendenti non soci della tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, nel testo novellato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42".

Con questa pronuncia la Cassazione ha superato il suo precedente indirizzo

che escludeva dal computo dei dipendenti di un'impresa cooperativa ai fini dell'applicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti, sull'essenziale rilievo della tutela del posto di lavoro dei soci lavoratori non in base alla stabilità del rapporto ma allo stesso patto sociale.

La Cassazione è pervenuta a questa conclusione “ per effetto della disciplina innovativa introdotta dalla L. 3 aprile 2001, n. 142, (di revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore), assunta a discrimine della (im)possibilità di qualificazione dei soci di cooperative di produzione e lavoro alla stregua di dipendenti delle medesime, per le prestazioni rivolte a consentire ad esse il conseguimento dei fini istituzionali e rese secondo le prescrizioni del contratto sociale, appunto in riferimento al regime anteriore a quello introdotto dalla legge citata “.

Per la Cassazione “Con la nuova normativa è stata infatti introdotta una diversa visione della prestazione lavorativa del socio, non più quale mero adempimento del contratto sociale, ma piuttosto radicata in un "ulteriore" rapporto (appunto) di lavoro, ai sensi dell'art. 1, comma 3 L. cit. Essa ha così assunto una propria autonomia, segnando un'espansione degli istituti e delle discipline propri del lavoro subordinato in funzione protettiva del socio lavoratore, in virtù di una ridefinizione del rapporto associativo e di lavoro alla stregua di un collegamento negoziale, sia pure nella fase estintiva unidirezionale, nel senso dell'ineluttabile cessazione del rapporto di lavoro per effetto della cessazione del rapporto associativo, ma non viceversa. Tuttavia, non in modo tale da obliterare la rilevanza di quello di lavoro anche nella fase estintiva: si è ritenuto, infatti, non essere preclusa dall'omessa impugnativa della delibera di esclusione dalla società cooperativa, qualora per le medesime ragioni afferenti al rapporto lavorativo siano stati contestualmente emanati la delibera e il licenziamento, la tutela risarcitoria stabilita dalla L. n. 604 del 1966, art. 8, ma soltanto quella restitutoria della qualità di lavoratore (Cass. s.u. 20 novembre 2017, n. 27436).

In continuità con una tale impostazione è stato quindi ritenuto che il rapporto di lavoro del socio lavoratore di cooperativa sia assistito dalla garanzia di stabilità, poiché, in caso di licenziamento, la maggiore onerosità per il conseguimento della tutela restitutoria, legata, oltre che all'impugnativa del licenziamento stesso, anche alla tempestiva opposizione alla contestuale delibera di esclusione, non può essere, di per sè, definita equivalente ad una condizione di metus caratterizzante lo svolgimento del rapporto lavorativo, tale da indurre il socio lavoratore a non esercitare i propri diritti per timore di perdere il posto di lavoro (Cass. 9 luglio 2018, n. 17989).

Occorre inoltre considerare come, nel novellato testo della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 8 e 9, (e prima nela L. n. 108 del 1990, 'art. 1, commi 1 e 2), sia assente, in riferimento alla peculiare figura di lavoratori in esame, alcuna esplicita esclusione dalla previsione di computo dei dipendenti per la dimensione rilevante ai fini dell'applicazione della tutela reale, al di fuori del coniuge e dei parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e collaterale; e che anzi è stabilita espressamente l'applicazione, ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato, della L. n. 300 del 1970, con la sola "esclusione dell'art. 18, ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo" (L. n. 142 del 2001, art. 2, comma 1).

Ed allora, la vigente disciplina deve essere intesa nel senso della sua integrale applicazione, in costanza di rapporto associativo, ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato: sicché, anch'essi devono essere computati ai fini del requisito dimensionale.”

Cassazione civile sez. lav., n. 6947  dep. 11/03/2019

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