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La Corte di Appello si divide dal tribunale nella ricostruzione dei fatti e ordina la reintegrazione nel posto di lavoro

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22/03/2019

Il lavoratore si salva grazie alle previsioni del contratto collettivo

 L’azienda ha contestato al suo dipendente di avere rivolto insulti e minacciato il superiore gerarchico alla presenza di altri colleghi a motivo di una presunta impropria distribuzione dei compiti e dei ruoli operata da detto responsabile, comportamento accompagnato da un pugno sulla scrivania e dalla rottura della maniglia di un porta, chiusa violentemente. La società aveva rappresentato che pure in precedenza il dipendente aveva tenuto un comportamento fonte di problemi interpersonali con colleghi e superiori e che un ex collega aveva instaurato un'azione risarcitoria per mobbing derivante dal suo comportamento. Il tribunale, ricostruendo il fatto così come descritto dai testimoni, ha ritenuto fondata la sanzione del licenziamento. La Corte di Appello, riesaminando le stesse testimonianze, ha ritenuto, invece, che il fatto di rilevanza disciplinare dovesse essere ridimenzionato nel suo contenuto. Per la Corte di Appello “ dalle dichiarazioni testimoniali era emerso che si era trattato di un breve scambio di opinioni, anche se animato, nel cui contesto l'unica espressione ingiuriosa non era stata pienamente confermata e comunque era rimasta isolata, mentre la minaccia "ti metto le mani addosso" non era stata percepita dal destinatario come un attentato alla propria incolumità fisica; infatti, lo stesso si era difeso alzando il tono di voce ed aveva richiamato il collega ad un comportamento più civile; l'episodio era avvenuto in assenza di altri dipendenti o di terzi; quanto al distacco della maniglia (che il lavoratore aveva chiarito di avere rimesso a posto), non era stato richiesto alcun intervento manutentivo, né poteva costituire un danneggiamento implicante una compromissione dei beni aziendali; la vicenda si era dunque esaurita in una mera protesta del lavoratore, senza che lo stesso si fosse in alcun modo rifiutato di eseguire gli ordini del superiore”. Ridimenzionato il fatto disciplinare, la Corte di Appello ha rilevato che per quei fatti il contratto collettivo prevedeva solo l’adozione di una sanzione conservativa del posto di lavoro. Ne è conseguita la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento dei danni per le retribuzioni perse nel limite di 12 mesi.

La Cassazione ha confermato integralmente la sentenza della Corte di Appello condividendone il percorso giuridico avendo correttamente applicato la tutela che l'ordinamento riconosce in caso di fatto che "...rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili...".

Sent. Cassazione Sez. L Num. 7864 Anno 2019 depositata il 20 marzo.

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