10/03/2019
Tucidide, storico dell’epoca classica greca, racconta la peste che colpì Atene nel 430 a.C. Dice che quel morbo “colpiva con una violenza maggiore di quanto potesse sopportare la natura umana”. Per paura di contagiarsi "nessuno voleva più recarsi l’uno dall’altro". Da allora sono passati quasi 2500 anni; in quell’occasione si trattava di peste che bruciava i corpi con un desiderio inestinguibile di bere per spegnere quel fuoco divampante; con il Covid si ha, invece, soffocamento per mancanza di ossigenazione. Le due sofferenze per la loro intensità del dolore sono simili: bruciare all'interno del corpo oppure non riuscire a respirare non è da augurare a nessuno.
Boccaccio nel Decameron raccontando la peste di Firenze del 1348 scrive che “E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano..” Chi poteva fuggiva da Firenze, si isolava nei suoi possedimenti in campagna.
Manzoni, raccontando la peste di Milano del 1630, riferisce che don Rodrigo si ammalò di peste dopo una serata di baldoria in osteria con gli amici.
San Carlo Borromeo, uomo di indiscussa pietà, organizzò una processione di penitenza e di preghiera assai numerosa che contribuì a diffondere ancor di più la peste.
Anche allora, come oggi, vi erano i soliti studiosi che disquisivano sull’’esistenza e sulla potenza del morbo come il povero don Ferrante (un quasi omologo del moderno dott. Zangrillo) che, come ci racconta Manzoni, si ammalò senza accorgesene e "andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle.".
La difesa naturale contro il morbo della peste, come avvertiva Tucidide, e poi Lucrezio, ed ancora Boccaccio e Manzoni era il distanziamento tra le persone. La stessa difesa primordiale che suggeriscono anche oggi virologi e scienziati contro il Covid-19 in attesa del miracoloso vaccino che non si sa quando arriverà.
Guardando qualche trasmissione televisiva o osservando le goliardiche azioni di qualche triste e noto personaggio o ascoltando le stravaganti dichiarazioni di qualche politico o le disquisizioni di qualche medico o virologo, sembra che la storia millenaria non abbia insegnato nulla di fronte alla emergenza del Covid-19, novella peste del secolo ventunesimo. Come avvertivano Tucidide e Lucrezio e come osservavano Boccaccio e Manzoni, allora come oggi, occorre evitare di incontrarsi per non diffondere il virus ma senza perdere la nostra pietas e senza aver paura l'uno dell'altro.
Per le nostre attività, abbiamo la moderna fortuna di poter sostituire gli incontri personali, che sono diventati pericolosi, con gli incontri virtuali, con un massiccio ricorso all’informatica. I contatti e gli incontri da remoto consentono di conservare e sviluppare le nostre attività, la nostra socialità e i nostri sentimenti di solidarietà. Possiamo preservare l'attività forense, utilizzando massicciamente gli strumenti informatici, con i collegamenti da remoto che la Grecia classica di Tucidide e la Roma repubblicana di Lucrezio così come la Firenze medioevale di Boccaccio e la Milano barocca di Manzoni non avevano.