05/03/2019
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha respinto, in una pronuncia del 28 giugno 2018, la domanda dei 2 tedeschi condannati per omicidio e che hanno sostenuto il loro diritto alla soppressione del loro nome su Internet dagli archivi dei giornali, che all'epoca avevano pubblicato la notizia. I giornali, interessati dalla pubblicazione degli articoli, sono stati chiamati in causa da questi due tedeschi, che erano stati condannati per l'assassinio di un noto personaggio pubblico, nel 1993. I due cittadini tedeschi hanno chiesto che gli articoli dei giornali che li riguardavano fossero archiviati digitalmente in modo anonimo, affinché la conoscenza della loro condanna non si perpetuasse all'infinito, anche dopo l'espiazione della loro pena che era stata loro inflitta. I due richiedenti hanno posto in evidenza il fatto che attraverso i motori di ricerca è molto facile far emergere dal passato i loro nomi riportati negli articoli incriminati.
In prima istanza ed in appello, avanti i giudici tedeschi, i due protagonisti hanno avuto ragione; la questione è finita, però, avanti la Corte di Giustizia Federale tedesca, che equivale alla nostra Corte di Cassazione; la Corte Federale tedesca ha respinto la loro richiesta. Dopo questa pronuncia i due cittadini tedeschi si sono rivolti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
La Corte Europea ha dichiarato che la corte tedesca non aveva disconosciuto in sé il diritto alla privacy dei due richiedenti ma che, nel caso specifico, a dover prevalere dovesse essere la libertà di stampa sul diritto alla dimenticanza rivendicato dai due condannati.
Per la Corte Europea, in questo caso specifico, chiedere a un organo di stampa di rendere anonimi i suoi articoli, significa infrangere, a sua volta, il diritto del pubblico a fare ricerche sui fatti storici passati; è una prerogativa piena della stampa valutare l'opportunità di mantenere o meno la conoscenza dei nomi dei protagonisti dei fatti raccontati nei suoi articoli.
La Corte Europea si è inserita nell'analisi giuridica fatta dalla Corte tedesca di giustizia.
La Corte europea si è limitata ad approvare la motivazione assunta dalla corte tedesca ritenendo che i singoli Stati della Comunità Europea dispongano di un margine di discrezionalità nel disciplinare fatti simili a quelli denunciati dai ricorrenti. La corte ha così evidenziato le particolarità del caso che le era stato sottoposto: i due richiedenti avevano tentato, ma inutilmente, la revisione della loro sentenza che li aveva ritenuto responsabile e condannati; gli articoli incriminati erano consultabili, a pagamento, e dunque di difficile accesso telematico; i due richiedenti non hanno riferito alla Corte se avessero richiesto ai motori di ricerca di sopprimere gli articoli che riportavano i loro nominativi. Con la sua pronuncia, la Corte tedesca, secondo la Corte europea, ha ben gestito l'equilibrio dei due principi che disciplinano la materia e che sono la libertà di stampa e il diritto alla privacy del singolo cittadino.
La Corte di giustizia ha insistito sulla particolare responsabilità dei motori di ricerca; il loro effetto moltiplicatore nella diffusione delle notizie far sì che la loro responsabilità sia diversa da quella degli editori di giornali che pubblicano gli articoli. Altrimenti, afferma che la corte di giustizia tedesca avrebbe potuto dare ragione alle richieste dei suoi cittadini se questa tutela fosse stata rivolta nei confronti dei motori di ricerca piuttosto che verso gli editori dei giornali.
La tesi della Corte europea è quella che la nozione del diritto all'oblio digitale è già stato riconosciuto dall'Unione europea fin dal 2014. Ma questo delitto, ovviamente, non è assoluto e indiscriminato perché deve essere ponderato con il diritto all'informazione.
Vi offriamo la lettura della sentenza della Corte in formato integrale e nel testo francese.
Dalla problematica giuridica, politica e sociale sorge spontanea una riflessione: nel mondo antico, in quello greco e romano, esisteva la pena della cosiddetta damnatio memoriae. Contro l'autore di fatti delittuosi o politici gravissimi era decretato che si cancellasse ogni suo ricordo (ritratti, iscrizioni, nome, monumenti). Di quel soggetto non doveva rimanere nessuna orma e nessun ricordo collettivo. Doveva essere letteralmente cancellato dalla memoria di tutti, come se non fosse mai esistito. Si sa che si continua a vivere se vi è qualcuno che ricorda. Essere condannati all'oblio era un'ulteriore afflizione.
Mutati i tempi, adesso con l'informatica, il ricordo può assumere una forma di perpetuazione di una pena mentre la dimenticanza e la cancellazione dalla memoria collettiva sono un valore individuale che l'interessato cerca di conquistare.
Pandora, la prima donna della mitologia greca che inaugura la discriminazione di genere
Narra un mito greco che la prima donna mandata sulla terra dagli dei fosse Pandora, e che fosse stata inviata per punire gli uomini della loro superbia. In un tempo lontanissimo, infatti, sulla terra esistevano solo esseri di sesso maschile, quando l’eroe Prometeo (colui che guarda avanti), amico degli uomini, volle portar loro il fuoco e quindi il progresso. Gli dei, irati per questo atto di disobbedienza, condannarono Prometeo ad una pena atroce e gli uomini ad aver bisogno delle donne. A Pandora gli dei avevano donato sia un bell’aspetto che un cuore menzognero ed un’indole ambigua. La prima donna era stata definita “un male così bello” che nessuno le poteva sfuggire. Ora, il fratello di Prometeo, che si chiamava Epimeteo, un giovane impulsivo che non pensava alle conseguenze delle sue azioni ( il suo nome significa “vedo dopo”), si invaghì di Pandora e la portò nella sua casa. Alla donna era stato detto che non avrebbe dovuto mai aprire un certo vaso: quale migliore raccomandazione per cedere alla tentazione di aprirlo? Il vaso venne aperto. Fu così che tutti i mali, prima sconosciuti agli esseri umani, si diffusero sulla terra. Ma, per fortuna, sul fondo del vaso rimase attaccata solo la speranza, unica consolazione per l’umanità.
Il mito greco con questa narrazione ci fornisce la spiegazione sulle ragioni della differenza di genere attribuendo la radice di tutti i mali del mondo alla donna. Nella mitologia greca e nei secoli successivi, la posizione della donna è stata sempre connotata da emarginazione e discriminazione perché nel pensiero filosofico le si è attribuita la causa di tutti i mali del mondo. La donna nella nostra storia meno recente non ha mai avuto ruoli, tranne rarissimi casi. A questa concezione negativa della mitologia greca fa da parallelo, sulla riva opposta del mare Egeo, anche la narrazione del libro della genesi con la figura di Eva che, con il suo comportamento, ha causato la sua definitiva cacciata, insieme a quella di Adamo, dal paradiso terrestre. La cultura occidentale moderna affonda le sue radici nella storia e nei valori greco-giudaico-cristiani. Ben si comprende, quindi, la dura lotta delle donne per conquistare nell'epoca moderna la parità di genere sul lavoro. Pandora ed Eva, anche ai giorni nostri, costituiscono il subconscio e la subcultura con cui occorre confrontarsi nella lotta quotidiana per conquistare la parità di genere nella società, nelle istituzioni e anche sul luogo di lavoro.
Divieto di discriminazioneè vietata la discriminazione fondata sul sesso avente ad oggetto:
l'accesso al lavoro, il trattamento retributivo, i premi, la qualifica, le mansioni, la carriera e ogni altro aspetto del trattamento economico e normativo.
la discriminazione può essere diretta o indiretta. La discriminazione indiretta si ha quando un comportamento o una condotta che appaiono essere neutri in realtà discriminano in ragione del sesso.
Dimissioni e maternità
La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.