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Tra persone legate da vincoli di parentela o di affinità opera una presunzione di gratuità della prestazione lavorativa

tag  News  lavoro  domestico  gratuità  presunzione 

01/12/2018

Respinta la domanda di una cognata che rivendicava l'esistenza di un rapporto di lavoro domestico

Una lavoratrice ricorre in tribunale rivendicando l'esistenza di un rapporto di lavoro domestico  a favore di un proprio parente ed in particolare del cognato, che abitava nella casa del fratello, dove risiedeva anche la moglie. La lavoratrice sostiene che il rapporto di affinità o di  parentela esistente tra le parti non è di per sé idoneo a escludere a priori la sussistenza di un eventuale rapporto di lavoro subordinato. La lavoratrice ritiene di aver fornito idonei elementi di prova perché si potesse dichiarare l'esistenza di un rapporto di lavoro domestico. i giudici di merito le hanno dato torto respingendo  ogni sua domanda. La corte di cassazione, chiamata a riesaminare fatti e diritto, ha respinto ogni domanda ed ha affermato il seguente principio giurisprudenziale: "...è del tutto in linea con gli arresti giurisprudenziali di questa Corte, laddove sottolinea che tra persone legate da vincoli di parentela o di affinità opera una presunzione di gratuità della prestazione lavorativa, che trova la sua fonte nella circostanza che la stessa viene resa normalmente affectionis vel benevolentiae causa; con la conseguenza che, per superare tale presunzione, è necessario fornire la prova rigorosa degli elementi tipici della subordinazione, tra i quali, soprattutto, l'assoggettamento al potere direttivo-organizzativo altrui e l'onerosità (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 8364/2014; 9043/2011; 8070/2011; 17992/2010; per ciò che più specificamente attiene a tutti gli indici di subordinazione, cfr., ex multis, Cass. n. 7024/2015). Ed al riguardo, in particolare, í giudici di seconda istanza hanno motivatamente e condivisibilmente affermato che «le risultanze istruttorie non solo non hanno fornito alcun elemento per accertare il vincolo della subordinazione..., ma hanno dimostrato l'esatto contrario e cioè che l'attività» della Cova «in ambito domestico si inseriva in un ménage familiare, in cui i fratelli Forti si occupavano insieme del lavoro dell'azienda agricola e la ricorrente delle faccende di casa». Pertanto, deve ribadirsi che i giudici di secondo grado, una volta presi in considerazione gli elementi che connotano la subordinazione e dopo aver analiticamente vagliato le risultanze istruttorie, sono pervenuti, attraverso un percorso motivazionale del tutto coerente, ad escluderne la sussistenza con riferimento alla fattispecie.
Sentenza corte di cassazione numero 30.899 del 29 novembre 2018.

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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di caritàPer questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo