16/09/2018
Un capostazione è stato condannato penalmente per condotta di maltrattamenti nei confronti dei familiari. Le sue sentenze di condanna sono divenute definitive e hanno avuto anche una certa risonanza mediatica. Le ferrovie, poggiando su queste condanne, hanno ritenuto che la condotta del lavoratore fosse incompatibile con il rapporto di lavoro e hanno proceduto al suo licenziamento. Il tribunale di Milano ha ritenuto legittimo il licenziamento ma la Corte di appello lo ha dichiarato totalmente infondato, condannando le ferrovie a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a pagargli l'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione percepita. Per la corte di appello le condanne penali per maltrattamenti in famiglia non possono essere qualificate come inadempimenti al contratto di lavoro; il motivo dedotto a sostegno del licenziamento è, pertanto, nella dialettica contrattuale e nei doveri del lavoratore verso l'impresa, del tutto insussistente. Da questa insussistenza degli inadempimenti al contratto di lavoro subordinato consegue il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro.
La corte di cassazione ha respinto il ricorso delle Ferrovie contro la sentenza affermando che i fatti contestati rientravano in un ambito strettamente personale e privato della persona del lavoratore e erano senza riverberi sul diverso piano del contratto di lavoro e non potevano compromettere la fiducia del datore di lavoro nel futuro e corretto svolgimento dell'attività lavorativa. Nei comportamenti familiari del capostazione non era ravvisabile alcun grave pregiudizio, né effettivo né potenziale, a danno dell'azienda. Non era esistente nemmeno il danno di immagine. Sulla stampa erano stati riportati sulla vicenda riferimenti generici e solo a livello locale.
Il capostazione è stato così definitivamente reintegrato nel posto di lavoro.
Corte di cassazione sezione lavoro sentenza numero 21958/2018 depositata il 10 settembre 2018.
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