11/08/2018
La giuria di un tribunale di San Francisco ha condannato, venerdì 10 agosto 2018, il gigante americano dell'agrochimica Monsanto a risarcire con 290 milioni di dollari i danni subiti da un giardiniere per non essere stato informato della dannosità di un erbicida a base di glifosato, che gli ha procurato un cancro.
I giudici americani hanno ritenuto che la Monsanto ha agito in malafede e che il suo erbicida ha considerevolmente contribuito alla malattia del giardiniere. La Monsanto ha dichiarato che la giuria americana ha torto ed ha annunciato la sua intenzione di fare appello poiché il suo prodotto non causa il cancro e non è responsabile della malattia del giardiniere. A sostegno di questa tesi il gigante della chimica ha richiamato i numerosi studi scientifici e la stessa conclusione dell'agenzia americana sulla protezione Dell'ambiente e delle altre autorità pubbliche mondiali.
Il giardiniere chiedeva come risarcimento dei danni la somma di 400 milioni di dollari. Il tribunale americano gli conosciuto un danno punitivo di 250 milioni ai quali ha aggiunto ulteriori 39 milioni di interessi compensatori. Il caso del giardiniere è il primo esaminato da un tribunale americano.Ve ne sono ancora migliaia da esaminare, discutere e decidere. Il dibattimento è durato più di un mese; le parti si sono affrontate a colpi di studi scientifici contraddittori.
La legislazione americana in materia di risarcimento dei danni per fatti dannosi è ben diversa da quella italiana; un risarcimento dei danni, come quello riconosciuto dal tribunale californiano, nel nostro ordinamento giuridico, è assolutamente impensabile perché in Italia non é riconosciuto il "danno punitivo" ma solo il danno che è conseguenza immediata e diretta dell'evento dannoso. Quel giardiniere, nel nostro ordinamento italiano, avrebbe potuto ottenere un risarcimento dei danni non superiore a 1 milione e mezzo di euro, secondo le tabelle che i tribunali osservano in conseguenza di una specifica legge che disciplina ormai da anni la materia.
Pandora, la prima donna della mitologia greca che inaugura la discriminazione di genere
Narra un mito greco che la prima donna mandata sulla terra dagli dei fosse Pandora, e che fosse stata inviata per punire gli uomini della loro superbia. In un tempo lontanissimo, infatti, sulla terra esistevano solo esseri di sesso maschile, quando l’eroe Prometeo (colui che guarda avanti), amico degli uomini, volle portar loro il fuoco e quindi il progresso. Gli dei, irati per questo atto di disobbedienza, condannarono Prometeo ad una pena atroce e gli uomini ad aver bisogno delle donne. A Pandora gli dei avevano donato sia un bell’aspetto che un cuore menzognero ed un’indole ambigua. La prima donna era stata definita “un male così bello” che nessuno le poteva sfuggire. Ora, il fratello di Prometeo, che si chiamava Epimeteo, un giovane impulsivo che non pensava alle conseguenze delle sue azioni ( il suo nome significa “vedo dopo”), si invaghì di Pandora e la portò nella sua casa. Alla donna era stato detto che non avrebbe dovuto mai aprire un certo vaso: quale migliore raccomandazione per cedere alla tentazione di aprirlo? Il vaso venne aperto. Fu così che tutti i mali, prima sconosciuti agli esseri umani, si diffusero sulla terra. Ma, per fortuna, sul fondo del vaso rimase attaccata solo la speranza, unica consolazione per l’umanità.
Il mito greco con questa narrazione ci fornisce la spiegazione sulle ragioni della differenza di genere attribuendo la radice di tutti i mali del mondo alla donna. Nella mitologia greca e nei secoli successivi, la posizione della donna è stata sempre connotata da emarginazione e discriminazione perché nel pensiero filosofico le si è attribuita la causa di tutti i mali del mondo. La donna nella nostra storia meno recente non ha mai avuto ruoli, tranne rarissimi casi. A questa concezione negativa della mitologia greca fa da parallelo, sulla riva opposta del mare Egeo, anche la narrazione del libro della genesi con la figura di Eva che, con il suo comportamento, ha causato la sua definitiva cacciata, insieme a quella di Adamo, dal paradiso terrestre. La cultura occidentale moderna affonda le sue radici nella storia e nei valori greco-giudaico-cristiani. Ben si comprende, quindi, la dura lotta delle donne per conquistare nell'epoca moderna la parità di genere sul lavoro. Pandora ed Eva, anche ai giorni nostri, costituiscono il subconscio e la subcultura con cui occorre confrontarsi nella lotta quotidiana per conquistare la parità di genere nella società, nelle istituzioni e anche sul luogo di lavoro.
Divieto di discriminazioneè vietata la discriminazione fondata sul sesso avente ad oggetto:
l'accesso al lavoro, il trattamento retributivo, i premi, la qualifica, le mansioni, la carriera e ogni altro aspetto del trattamento economico e normativo.
la discriminazione può essere diretta o indiretta. La discriminazione indiretta si ha quando un comportamento o una condotta che appaiono essere neutri in realtà discriminano in ragione del sesso.
Dimissioni e maternità
La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.