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La posta elettronica normale non ha valore di prova sicura

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 dicembre 2017 – 8 marzo 2018, n. 5523

Il tribunale di Roma rigettava la domanda di impugnazione di un licenziamento per giusta causa. La società aveva contestato al lavoratore che era dirigente e responsabile, all’epoca dei fatti, dell’Area Territoriale Sales Consumer di aver posto in essere "una condotta irregolare in merito all’applicazione della procedura cd. "rivalutazioni di magazzino" che, secondo le indagini aziendali, aveva portato all’accredito di somme non dovute in favore di alcune società commerciali partner, in quanto relative a giacenze di prodotti di telefonia mobile, in realtà non esistenti.
La corte di appello, però, è pervenuta a una conclusione opposta a quella del tribunale, dichiarando la illegittimità del licenziamento, perché la prova del comportamento trasgressivo del lavoratore era fondata su  messaggi di posta elettronica di dubbio valore probatorio. In assenza di prova idonea, che il datore di lavoro non aveva fornito, quel licenziamento è stato dichiarato illegittimo. La cassazione ha colto l'occasione per intervenire sul valore di prova della posta elettronicai ed ha affermato che l'efficacia di prova spetta solo "al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, mentre è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi dell’art. 20 D.Lgs 82/2005, l’idoneità di ogni diverso documento informatico (come l’e-mail tradizionale) a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità."