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La Corte di Cassazione abdica al suo ruolo di rendere giustizia

tag  News  Cassazione  autosufficienza  inammissibilità 

10/10/2017

Basta poco per dichiarare il ricorso inammissibile

Vi è stato un tempo in cui la Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso oppure il controricorso perché l’avvocato aveva omesso di riportare il nome e cognome del legale rappresentante della società che rappresentava. Il vizio per la Cassazione era tale da meritare il massimo “castigo”: respingere ricorso o controricorso  senza entrare nel merito delle lagnanze contro la sentenza impugnata. Il Parlamento è stato costretto ad intervenire modificando la norma mal interpretata e la Corte negli anni successivi non ha potuto più stroncare gli atti per questo “vizio”.

Qualche tempo dopo l’attenzione della Cassazione si è abbattuta sul mandato alle liti conferito dal cliente all’avvocato.

Il codice di procedura civile prevede che il mandato all’avvocato possa essere anche conferito in calce al ricorso o al controricorso. La Cassazione, richiamando questa normativa del codice, ha iniziato a dichiarare la irritualità del mandato, senza entrare nel merito dei motivi di impugnazione,  tutte le volte in cui le sembrava che il mandato  fosse stato apposto su un foglio a parte, perché fisicamente staccato dall’atto di impugnazione. In pratica, se il mandato non seguiva rigorosamente sulla stessa pagina finale del ricorso, dopo la firma di sottoscrizione dell’avv. difensore, senza soluzione di continuità,  l’atto era da considerare talmente viziato da non meritare l’attenzione della Corte. La norma processuale, anche in questo caso, è stata modificata dal Parlamento e la Corte non ha più potuto usare questa falce.

In questi ultimi anni, e tuttora,  la Cassazione si è concentrata sul concetto di autosufficienza dell’atto, che deve essere autonomo e formato in modo tale che il supremo giudice non debba andare a cercare nei fascicoli delle parti i documenti o quelle parti degli atti difensivi delle cause di merito, poste a sostegno della lagnanza del ricorso o controricorso in Cassazione. Se l’atto difensivo avanti la Cassazione non dovesse essere autosufficiente nell’esposizione, il “castigo” è la solita inammissibilità con il conseguente rigetto delle domande, senza esaminare il merito. L’avvocato in questo modo è costretto a dover riportare nel suo ricorso o controricorso, in modo integrale,  i documenti o quella parte dei documenti  o degli atti precedenti che ha richiamato nel suo atto difensivo, senza poter fare semplice rimando all’esame del documento allegato nel fascicolo di parte con la numerazione o delle memorie precedenti. Ovviamente, per soddisfare questa esigenza di autosufficienza dell’atto, l’avvocato è costretto a dover redigere ricorsi o controricorsi  prolissi, pagine su pagine, a volte decine o addirittura centinaia di pagine. Ma la Corte ha avuto ancora da ridire: gli atti prolissi non vanno bene, non sono rispettosi, comportano fatica di lettura e perdita di tempo. La prolissità è causa d’inammissibilità perché occorre coniugare autosufficienza e sinteticità.

Nel codice di procedura civile in verità non esiste la codificazione del concetto di autosufficienza del ricorso o del controricorso né quello della sinteticità o prolissità degli atti, così come non si giustificava  all’epoca la rigorosa interpretazione della  Corte sul mandato in calce al ricorso o al controricorso  oppure la necessità di indicare il nome e cognome del legale rappresentante della società. Si tratta in tutti i casi di una creazione concettuale della Cassazione.

Sul concetto di autosufficienza dell’atto occorre che intervenga il Parlamento con una chiara norma processuale che spunti questa nuova e inedita “arma” della Cassazione contro il ricorso e il controricorso per affermare il concetto di rendere giustizia, al di là di  ogni formalismo processualistico,  eliminando ogni ombra nell’agire della Corte.