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Per far valere un diritto occorre essere ben difesi: diversamente si perde anche se si ha ragione

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23/01/2017

 Una lavoratrice ha proposto domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali conseguenti dalle condotte mobbizzanti subite dal datore di lavoro. Il tribunale ha respinto la domanda. La corte d'appello di Milano ha confermato la decisione del tribunale sostenendo che la domanda di risarcimento non poteva essere accolta perché il danno da mobbing non è un danno in re ipsa; la domanda di risarcimento, è stata respinta a causa di una "carenza di allegazioni specifiche circa il pregiudizio derivante dal preteso comportamento persecutorio dell’azienda, ed aggiungeva che neppure erano stati forniti elementi da cui trarre presunzioni;". 

Contro la decisione è stato proposto ricorso in cassazione. La corte di cassazione ha confermato la sentenza della corte di appello riaffermando il suo orientamento giurisprudenziale che è stato così enunciato: "ll danno non patrimoniale è risarcibile solo ove sussista da parte del richiedente la allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio (Cass. SU 16 febbraio 2009, n.); in particolare tale onere di allegazione va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche, perché il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici (Cass. 13 maggio 2011, n. 10527; Cass. 21 giugno 2011, n. 13614);

conseguentemente, il ristoro del danno non patrimoniale determinato dal comportamento ostruzionistico da parte del datore di lavoro, può essere accordato al lavoratore purché sia allegata e provata la concreta lesione in termini di violazione dell’integrità psico-fisica ovvero di nocumento delle generali condizioni di vita personali e sociali e a tal fine non è sufficiente il generico riferimento allo "stress" conseguente alla suddetta condotta, posto che esso si risolve nell’affermazione di un danno in re ipsa (Cass. 1 dicembre 2011, n. 25691);".

In questa controversia la lavoratrice ha mancato totalmente di fornire e dare la prova rigoroso di danni che ha assunto di aver subito.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 1185/17.

 

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